Fabio Lazzara (Kent)

La morte di Aulo Magrini


Racconti del partigiano garibaldino “Kent” (maggio - novembre 1944)


Carnia Libera

mappa della Repubblica Partigiana della Carnia

 

15 luglio 1944, Ponte di Noiaris: attacco alla colonna tedesca
da parte dei partigiani della Brigata Garibaldi Carnis


Morte di Aulo Magrini (Arturo)

 

 

Analisi critica racconto-intervista a Morgan e Tempesta



Accuse infondate a Enore Casali “Olmo”


Quest’anno ricorre il sessantacinquesimo anniversario dell’attacco alla colonna tedesca sul ponte di Noiaris, in cui vi trovarono la  morte il Commissario “Arturo” (Aulo Magrini), il partigiano “Griso” (Ermes Solari) componenti della Brigata Garibaldina e (Vito Riolino) della Brigata Osoppo. Così pensai, quel giorno, mentre percorrevo quel luogo dov’è posta la targa sul ponte di Noiaris e il cippo con la croce a ricordo dell’uccisione di Magrini.


fig. 1 - Lapide ricordo - ponte di Noiaris

 


fig. 2 - Cippo ricordo sul luogo del ritrovamento di Magrini

 

Su questo episodio si sono dette e scritte tante cose, anche contraddittorie. Ho sempre ricordato quell’evento come un fatto che mi ha riguardato, e che cerco di raccontare.

Da Cludinico al ponte di Noiaris


Conoscevo personalmente alcuni componenti il gruppo d’azione della Garibaldi: Arturo, Griso e Olmo. Arturo (Aulo Magrini), commissario politico del battaglione “Carnia”, del quale facevo parte anch’io col nome di battaglia Kent, l’ho conosciuto verso la fine del mese di maggio (primi di giugno) dell’anno 1944 e l’ho visto morto il 15 luglio dello stesso anno, sul ponte di Noiaris, verso le 17,00 o le 18,00, dov’era stato appena disteso su un calesse (dipinto di blu con strisce rosse) di proprietà di un carrettiere residente a Sutrio che riconobbi. L’ho vidi a non più di un metro. Lo guardai con assoluta coscienza, così come me lo rivedo ora nella memoria: il corpo era adagiato sullo schienale del calesse con le braccia e le gambe abbandonate, con il viso rivolto in avanti. In quel istante potei vedere un foro in mezzo alla fronte, netto e unico. Il colpo mortale poteva essere stato causato soltanto da una pistola. Un colpo di fucile sarebbe stato più devastante credo. Così pensai allora.  
Chi volesse affermare oggi altre versioni su questo fatto, di sicuro non ha visto quello che io posso giurare di aver visto.
Anch’io ero predestinato a partecipare a quell’evento. Infatti, quel giorno del 15 luglio 1944, eravamo posizionati nella galleria di Cludinico (una trentina di uomini comandati da “Aso” – Italo Cristofoli di Prato Carnico), soprastante la vecchia statale nel tratto in curva e controcurva che si affacciava sulla strada statale, posti a guardia di un presunto attacco del nemico.


Nella mattinata di quello stesso giorno qualcuno ci ordinò, a me e un altro compagno (ex carabiniere fatto prigioniero in Cadore e poi passato alla Garibaldi) di procedere verso il monte da Cludinico per recarsi nella valle del But dov’era stata segnalata una colonna di Tedeschi che si sarebbe dovuto attaccare unitamente ad altri partigiani.
Dopo ore di cammino attraverso le montagne raggiungemmo Sutrio, alle spalle dell’abitato, in direzione della strada statale che dal bivio (osteria di Santine) porta al paese. In una località imprecisata al piede del bosco, dove si erano radunati una trentina di abitanti di Sutrio.
Mentre raggiungevamo questo gruppo di civili accovacciati per terra (attorno alle 17,00 circa), notammo che transitava davanti all’osteria di Santine (in linea d’aria un chilometro circa) la colonna dei tedeschi che improvvisamente si fermò, avendo notato il gruppo di civili. Una loro sventagliata di mitragliatrice pesante convinse tutti a ripararsi dietro gli alberi. I tedeschi ripresero il loro cammino e noi pure (io armato di mitragliatrice leggera – italiana e l’altro di mitra) per raggiungere, dopo avere attraversato l’abitato di Sutrio, il ponte di Noiaris che ci era stato indicato come obiettivo per l’azione.
Cinque o dieci minuti dopo la ripresa della marcia, sempre a piedi, sentimmo lo scoppio sordo, di alcune bombe a mano, due o tre, e poi diversi colpi di mitraglia e di armi leggere. Il tutto durò pochissimi minuti


Continuammo il percorso, attraverso l’abitato di Sutrio, Priola e Noiaris, per giungere al ponte di Noiaris, trenta/quaranta minuti dopo. Ovviamente l’azione era già finita. (1) Sul ponte c’erano diversi civili (nessun partigiano tranne noi due) attorno ad un calesse, sul quale era stato appena disteso il corpo, senza vita, di “Arturo”. Questi i fatti per averli vissuti in quel giorno del 15 luglio 1944.

Gruppo d’azione partigiani


Conoscevo quasi tutti di quel “gruppo d’azione” della Garibaldi di quel giorno, e ogni volta che passo davanti al ponte di Noiaris (almeno tre o quattro volte l’anno da Genova a Paluzza) mi torna alla mente quell’evento e la visione di Magrini, disteso morto su quel calesse. Non ho mai dimenticato quel corpo senza vita di Magrini che conoscevo bene. Mi vengono in mente anche le chiacchiere che nel dopo guerra circolavano sulla morte di “Arturo” e sul presunto esecutore, giustiziato dagli stessi compagni di lotta.
Su quel tragico evento, dopo alcune letture come il diario delle Garibaldi, la pubblicazione di Anna Di Qual: Aulo Magrini “Arturo” - La vita di un partigiano, e altre non rilevanti, sulla morte di Magrini e l’uccisione di Enore Casali (Olmo), mi sono interessato a questa problematica. L’ultimo mio interesse risale all’agosto scorso quando trovai nella libreria di Paluzza il libro di Gianni Conedera di Muina (Ovaro) “Dalla resistenza a gladio” (uscito a maggio 2009), che tratta l’azione partigiana del 15 luglio 1944 sul ponte di Noiaris e relative complicanze sulla morte di Magrini.
L’Autore del libro riporta delle testimonianze sui fatti, sufficientemente documentate, di particolare interesse, tra le quali quelle degli ex comandanti garibaldini, Mario Beorchia di Muina nome di battaglia “Senio” e Ciro Nigris di Ampezzo nome di battaglia “Marco”, che si dichiarano presenti a quell’azione, fornendo sul “caso Magrini” due versioni distinte. A mio parere non così contrastanti come invece le ritiene l’Autore del libro. Le testimonianze di Senio, di Marco, e le altre raccolte nel campo avverso, sono interessanti, e l’Autore le utilizza per ricostruire l’azione di quel 15 luglio 1944, e per indagare sulla presunta uccisione di Magrini per mano amica.


A mio parere, invece, proprio per il contenuto di tali testimonianze, per lo stato dei luoghi e per come si svolse l’azione, è possibile formulare una diversa e forse più credibile ipotesi sulla morte del commissario Arturo.
Fino al maggio di quest’anno a me era noto che il gruppo d’azione della “Garibaldi” era formato da “Arturo” (Aulo Magrini) da “Griso” (Ermes Solari), caduti nell’azione, e da “Olmo” (Enore Casali) rimasto coinvolto alla fine dell’anno 1944 dall’indagine sulla morte di Arturo, tutti appartenenti alla componente storica della Garibaldi provenienti dalla Val Pesarina.
Nel libro di Conedera si dichiarano presenti all’azione di quel giorno, oltre ai citati Magrini, Solari e Casali, anche Mario Beorchia (comandante Senio) e Ciro Nigris (comandante Marco). La loro testimonianza è di fondamentale importanza per la ricostruzione del “teatro” dell’’azione. Particolarmente quella di Senio che ci rivela, tra l’altro: il posizionamento dei partigiani, l’inizio e lo svolgersi dell’azione, e il momento in cui avviene la morte di Magrini.
Il comandante Senio testimonia (pagina 77): “Durante l’attacco al convoglio tedesco, mi trovavo sul prato sovrastante alla ripida boscaglia che scende verso la strada statale Eravamo in tre comandanti. A pochi passi, alla mia destra, c’era il comandante (commissario politico) Magrini, più in là il comandante Marco (Ciro Nigris). Gli altri partigiani, prevalentemente della zona di Prato Carnico, si erano posizionati più a nord, tra noi e il cucuzzolo che sovrasta il ponte sul torrente But”.
Il comandante Marco (pagina 78): “Quando Magrini venne ucciso Io ero vicino a Enore di Sostasio e ad altri due (..) totale sette.
Sulla presenza garibaldina, di quel giorno, c’è un’altra “testimonianza, raccolta sul letto di morte nel 1977 da Luigi Raimondi di Orlando Puntil “Moro” di Osais - (Arturo Magrini “Arturo - La vita di un partigiano di Anna Di Qual), “Questo ex partigiano garibaldino, presente sul ponte di Noiaris (…). Assieme a Magrini e Puntil sono presenti anche Aso, Enore, Ermes Solari e Luino Solari”.


La presenza partigiana risulterebbe: Magrini ed Ermes (morti), Aso, Enore, Marco, Puntil, Senio e Luino Solari per un totale di otto. Uno in più di quelli conteggiati con le testimonianze di Senio e Marco.
La differenza numerica (due nel ricordo di Marco o tre) è da imputarsi ai tanti anni trascorsi dall’evento. Lo conferma, nella sostanza, imprecisa nel numero, si riscontra nella testimonianza di Senio: “A pochi passi (pagina 77), alla mia destra, c’era (...) Gli altri (… ) prevalentemente della zona di Prato Carnico”. Intendendo con ciò indicare il gruppo, quale che sia, non il dato numerico.
Non sarà certamente il ricordo di Marco (poco preciso nella circostanza “e altri due in luogo di altri tre) a mettere in dubbio il numero del “gruppo d’azione”.
A quell’azione parteciparono, si può affermare, otto partigiani della Garibaldi, sette appartenenti al battaglione “Carnia” comandato da Marco e uno (Senio) appartenente al battaglione “Friuli”, individuati in: Arturo, Aso, Griso, Luino Solari, Marco, Moro, Olmo e Senio, presumibilmente posizionati come riportato nella figura 3.


fig. 3 - Ricostruzione Stato dei luoghi


  1. Stralcio dalla pubblicazione “Percorsi della memoria civile – La Carnia la resistenza” edito dall’Istituto Friulano per la storia del Movimento di Liberazione di Udine”.



RICOSTRUZIONE "STATO DEI LUOGHI"

Il posizionamento del “gruppo d’azione” (nella zona sud del cucuzzolo come riportato e raffigurato nella foto ricavata da google), è verosimile e l’unica possibile, non visti dalla colonna proveniente da nord (Paluzza) diretta a sud, riparata dal cucuzzolo della curva
Lo spiegamento dei partigiani sul ciglio della ripa, opportunamente distanziati l’uno dall’altro, ci viene raccontato da Senio (pagina 77):
Durante l’attacco al convoglio tedesco sul ponte di Noiaris, mi trovavo sul prato sovrastante alla ripida boscaglia che scende verso la strada statale. Eravamo in tre comandanti. A pochi passi, alla mia destra, c’era il comandante (commissario politico) Magrini, più in là il comandante Marco (Ciro Nigris). Gli altri partigiani, prevalentemente della zona di Prato Carnico, si erano posizionati più a nord, tra noi e il cucuzzolo che sovrasta il ponte sul torrente But”.
Testimonianza che conferma il posizionamento del “gruppo d’azione” al riparo della visuale della colonna tedesca transitante nella strada sottostante. Cioè, da sud verso nord individuata nella figura 3, come segue: comandante Senio, commissario Arturo, comandante Marco, Olmo, Aso, Griso e gli altri due, come individuati dal comandante Marco.
Sull’entità numerica dei partigiani, c’è una conferma che si ricava dal libro di Conedera (pagina 70):
Il gruppo di garibaldini che soggiornava per l’occasione a Ravascletto, formato prevalentemente da elementi della Val Pesarina, fu prontamente avvertito del passaggio e si appresto a raggiungere, a piedi, la zona dell’attacco, prendendo posizione lungo il costone che sovrasta il rettilineo, alla sinistra idrografica del torrente But nascondendosi dietro gli abeti della fitta boscaglia. Il comando garibaldino composto da tre persone: Aulo Magrini “Arturo, Ciro Nigris “Marco” e Mario Beorchia ”Senio”. Anche il lanciatore di bombe Ermes Solari “Griso” si dispose a circa metà rettilineo, spostato un po’ più a nord rispetto ai suoi comandanti, nascosto lungo la ripida scarpata, dietro uno smottamento del terreno (…)”.

Testimonianze


Ai soli fini di quanto mi propongo, e cioè quella della ricerca della verità sulla morte del commissario politico Arturo, si rende necessaria l’analisi delle testimonianze per verificarne l’attendibilità, comparandole con le mie conoscenze e convinzioni sui fatti, nonché sulla compatibilità con l’azione per come si è svolta.


Le testimonianze rese dagli ex comandanti Senio e Marco si possono ritenere veritiere, compatibili con l’evento di quel giorno e quindi probanti. Come pure le testimonianze degli ex militari delle SS Alois Innerhofer e Cristian Bister.
Non è così per la testimonianza di Giovanni Del Negro di Sutrio (pagina 79), che contraddice quelle rese da Senio e Marco. E non solo. Tale testimonianza è illogica e irrazionale nella descrizione riguardante il lancio delle bombe a mano. Il Del Negro (pagina 79) asserisce: “A lanciare le bombe a mano, invece, non fu Magrini, ma tale Ermes Solari di Osais di Prato Carnico, nome di Battaglia “Griso”, che rimase ucciso nello stesso punto del lancio” Testimonianza ricostruita indirettamente (non era presente) che non tiene conto della sequenza del lancio delle bombe descritta dai presenti all’azione (Senio, Innerhofer e aggiungo lo scrivente), sintetizzabile: bum, bum e poi bum (tre bombe). Con tale ipotesi si riconosce una contestualità impossibile: un unico lancio delle tre bombe (o quattro come indica Marco), fatto esclusivamente da Griso è un’assurdità unica. Ciò per la logica considerazione che non è possibile avere in mano più di una bomba (appena disinnescata) per più di tre o quattro secondi (disinnesco e tempo di percorrenza per raggiungere l’obiettivo). Gli sarebbero scoppiate in mano.
Non è vera nemmeno l’affermazione sul ritrovamento di Ermes Solari (Griso). “L’ho visto appoggiato alla ripa, un foro di proiettile in fronte (…..). Al lato sinistro, tre sicure di bombe a mano (….)” Nei fatti, mi riferisce una signora di Noiaris, “quel partigiano sulla ripa (Griso) è stato mitragliato in pieno petto”. Testimonianza più che verosimile, se si considera che Griso era in prima fila, il più vicino alla strada e quindi il più esposto; per lanciare la bomba si è dovuto alzare in piedi (certamente visto dai tedeschi, “che avevano montato una mitragliatrice pesante su camion” (Senio), è logico pensare che Griso sia stato colpito per primo da una raffica in pieno petto appena dopo il lancio della bomba. Il dichiarato ritrovamento di tre linguette accanto al corpo di Ermes è assolutamente illogico.

Svolgimento dell’azione

Prima di affrontare gli argomenti volti alla ricostruzione dell’azione sul ponte di Noiaris, e relativi fatti connessi o presunti tali, occorre analizzare le singole testimonianze (importanti) sullo svolgimento dell’azione, da riscontare con la logica dei fatti riguardanti l’evento.

All’azione del 15 luglio 1944 parteciparono sette (otto) partigiani sistemati sul giglio della ripa, alcuni a sud del cucuzzolo altri a nord (quelli di Prato Carnico). Il lanciatore di bombe Ermes Solari “Griso” si dispose a circa metà rettilineo, spostato un po’ più a nord rispetto ai suoi comandanti, nascosto lungo la ripida scarpata, dietro uno smottamento del terreno (…)”..


Il “teatro” della battaglia è chiaramente definito nello stato dei luoghi (a oggi), nel numero e posizione dei partigiani (v. figura 3), ricostruito conforme alle testimonianze rese da Senio e da Marco. Rimane soltanto il dubbio su chi era posizionato alla sinistra di Senio (pagina 78): “Sulla mia sinistra, ad una certa distanza, c’era ancora un altro partigiano, ma non ricordo chi era”.
Di quei momenti di attesa che precedette l’attacco, secondo la mia personale testimonianza di quel giorno (da Cludinico al ponte di Noiaris), quando vidi la colonna tedesca, proveniente da Paluzza, transitare davanti all’osteria di Santine (antistante il ponte di Sutrio),sentimmo (io e l’altro mio compagno) la sventagliata diretta verso il gruppo di Sutriesi accovacciati nel sottobosco.
Quella stessa sventagliata l’hanno udita anche il “gruppo d’azione” in attesa di fare l’attacco. Per loro era un segnale di pericolo imminente (distante circa due chilometri dal luogo dell’attacco), che ha certamente allertato i partigiani, ma non dissuasi. Cinque o dieci minuti dopo, sentimmo lo scoppio di alcune bombe a mano, due o tre, e poi diversi colpi di mitraglia e di armi leggere. Il tutto durò pochissimi minuti.
Sull’azione e sul ruolo tenuto dai singoli partigiani non è dato di sapere più di tanto, nel mentre appare sufficientemente chiaro lo svolgimento dell’azione, che ci interessa ai fini della ricostruzione dei fatti relativi alla morte di Magrini.


Fatto riferimento allo schema fotografico (pagina 73) del libro, l’Autore ricostruisce l’evento sulla base dei racconti:
da “Senio” (pagina 77):
Durante l’attacco (…) mi trovavo sul prato sovrastante alla ripida boscaglia che scende verso la strada statale Eravamo in tre comandanti (….) A pochi passi, alla mia destra, c’era il comandante (commissario politico) Magrini, più in là Nigris. Gli altri partigiani, prevalentemente della zona di Prato Carnico, si erano posizionati più a nord, tra noi e il cucuzzolo che sovrasta il ponte sul torrente But”;
da Marco (pagina 78):
Intervistato (…) affermò che il lancio delle bombe venne effettuato da sopra la curva del ponte di Noiaris e che a lanciarla fu lo stesso Magrini. Dopo i lanci, aggiunse, i partigiani scapparono verso l’interno del bosco ma Magrini si diresse più sud.” (pagina 79: “Quando Magrini venne ucciso (….) Io ero vicino a Enore (….) e ad altri due, in una posizione dalla quale non si poteva vedere Magrini”
L’analisi comparativa delle testimonianze, rese da Senio e da Marco, presentano imprecisioni ma non contraddizioni. In esse si rileva, semmai, la descrizione di “momenti” diversi relativi all’azione. Va da se, che in quei pochi minuti di battaglia ognuno pensava e agiva in proprio, ed è vana pretesa che il ricordo sia univoco. Ciascuno di loro in quel momento concitato. erano concentrati nell’azione che stavano compiendo, piuttosto che a quanto succedeva attorno.


Quello che succedeva in quel momento è noto anche dalla testimonianza di campo avverso: quella dell’ex militare delle SS Alois Innerhofer (pagina 73):
Quando il contingente entrò nel tratto di strada individuato ci fu l’attacco. Ermes Solari ”Griso” lanciò le bombe a mano (…), In quell’istante, i due camion si trovarono sul tratto di rettilineo tra la curva di Noiaris e la galleria; il terzo camion aveva appena oltrepassato la curva del ponte di Noiaris (sarà quello dei militari SS che saliranno successivamente sul pianoro di Alzieri), mentre la macchina con il maresciallo Bauernschmid si trovava di fronte al ponte, prima della curva. Mentre percorrevamo un tratto di strada in rettilineo, siamo stati attaccati dai partigiani. Il cassone del mio camion è stato investito in pieno da alcune bombe a mano che scoppiarono una di seguito all’altra. Una è scoppiata tra due militari che sedevano dietro alla schiena” A (pagina 83) “Alois Innerhofer, testimonia che ci furono solo due o tre minuti di fuoco e che i partigiani non utilizzarono mitragliatrici.”
Il quadro dell’azione è chiaro: i partigiani schierati a monte lungo il ciglio della ripa nel modo riportato nella figura 3 da sinistra verso destra, Senio (e forse Aso a sinistra), Magrini, Marco, Olmo, e gli altri due. Griso più a valle.
Quanto alla colonna tedesca “i due camion si trovarono sul tratto di rettilineo tra la curva di Noiaris e la galleria; il terzo camion aveva appena oltrepassato la curva del ponte (…) la macchina del maresciallo Bauernschmid si trovava di fronte al ponte”.

Morte di Aulo Magrini “Arturo”


Sulla morte di Magrini sono state formulate diverse ipotesi, poco credibili come cercherò di dimostrare in questa “istruttoria”, basata sui fatti e non su presunte diversità ideologiche tra compagni o di ruberie attribuite a qualcuno per avvalorare il convincimento della propria ipotesi.
Gli elementi dell’istruttoria sono riferiti allo stato dei luoghi dell’azione, alla posizione dei partigiani e della colonna tedesca al momento dell’azione, al resoconto delle testimonianze rese da Senio e da Marco, alla posizione del corpo di Magrini. Gli unici elementi accertati e protagonisti dell’evento.
La lettura di questi elementi (in parte non noti) consentirà di portare chiarezza sulla morte di Magrini. Intanto non era del tutto nota la presenza numerica e nominativa dei partigiani della Garibaldi a quell’azione, ricostruita proprio con le testimonianze di Senio, di Marco e di Moro. Nella figura 3 è ampiamente ricostruito il “teatro della battaglia” con le forze partigiane presente a quell’evento.
Il comandante Senio racconta la battaglia (pagina 77): “Durante l’attacco al convoglio tedesco sul ponte di Noiaris (…). Da sopra potevo sentire nella strada sottostante, scoppi di bombe e mano e un violento fuoco di armi automatiche. Eravamo stati noi ad attaccare per primi e pertanto saremmo dovuti essere stati avvantaggiati. Però i tedeschi che avevano montato una mitragliatrice su camion, iniziarono a sparare all’impazzata, risultando alla fine in vantaggio rispetto al nostro armamento”.


Non era noto quando e come Magrini cadde a terra morto. La testimonianza di Senio al riguardo fa piena luce (pagina 78): Ad un certo punto, Magrini che era alla mia destra, cadde a terra morto. A colpirlo fu un colpo di fucile, uno solo, proveniente dalla mia destra dove si erano posizionati quelli di Prato Carnico. È stato colpito da un unico colpo di fucile (…). Dopo un po’ ci fu il silenzio, i tedeschi non spararono più. Sul pianoro eravamo rimasti solo io e il comandante Marco. (…). Per me non è stato ucciso dai Tedeschi. Quando è caduto a poca distanza da me la battaglia era appena iniziata”.
In ombra la testimonianza di Marco (pagina 79): “Quando Magrini venne ucciso Io ero vicino a Enore di Sostasio e ad altri due una posizione dalla quale non si poteva vedere Magrini”. Comunque ininfluente per l’istruttoria.


Di tutto ciò, interpretato sulla base delle testimonianze, rese all’Autore da Senio e Marco, è possibile ricostruire “una verità” (l’unica) sulla morte del dottor Aulo Magrini “Arturo”, diversa da quelle che sono state raccontate fino ad oggi.


L’unica “verità”, fino ad oggi, è che la morte di Magrini è stata provocata da un sol colpo di fucile proprio in mezzo alla fronte. Il corpo è stato ritrovato nel luogo dov’è stato posto dalla Famiglia il cippo con la croce a ricordo di quel tragico evento. Il cippo è esattamente dov’è posizionato sulla figura 3. Quindi è in quel punto che è caduto.


L’istruttoria sulla morte di Magrini inizia con l’analisi della posizione dei partigiani e della colonna tedesca al momento dell’azione: la figura 3 (ricostruita ad hoc) ripropone lo schieramento dei partigiani allocati sul ciglio della ripa, fatta eccezione del partigiano Griso posizionato più a valle. Quindi tutti rivolti verso la strada impegnati nell’attesa della colonna tedesca.


Mentre la colonna tedesca transitava sulla strada ci fu l’attacco: Alois Innerhofer, lex SS (pagina 73 – figura 3):
In quel istante, i due camion si trovarono sul tratto di rettilineo tra la curva di Noiaris e la galleria; il terzo camion aveva appena oltrepassato la curva del ponte di Noiaris (…) mentre la macchina con il maresciallo Bauernschmid si trovava di fronte al ponte prima della curva. A (pagina 83) “Alois Innerhofer, testimonia che ci furono solo due o tre minuti di fuoco e che i partigiani non utilizzarono mitragliatrici.”
A quel punto ci fu l’attacco da parte partigiana con il lancio delle bombe (due o tre) in sequenza (bum, bum e poi bum, di cui due o tre secondi tra la prima e la seconda bomba e forse quattro/cinque dalla seconda alla terza e spari di fucileria); il tutto per la durata di due o tre minuti. Così testimonia lo scrivente, presente a meno di due chilometri dal luogo e che ha “udito quell’azione”.
Sulla morte di Magrini a pagina 78 il comandante Senio, testimonia “Ad un certo punto, Magrini che era alla mia destra, cadde a terra morto”. (….). Quando è caduto a poca distanza da me, la battaglia era appena iniziata”.
La reazione tedesca fu immediata con le armi automatiche ed altro che durò, come risulta, due o tre minuti. In quei due o tre minuti, a battaglia iniziata (Senio), Magrini cadde a terra morto, colpito in mezzo alla fronte, mentre il comandante Senio e tutti gli altri partigiani (tranne chi lanciò le bombe a mano) sparavano verso la colonna tedesca ferma sulla strada sottostante.
Quindi a “battaglia iniziata” (Senio), Magrini era rivolto, sicuramente, verso la strada dov’era stata fermata la colonna tedesca. E, forse, fece a tempo anche a sparare una raffica di Sten o a lanciare una bomba a mano.
Ma chi fu in quel tragico momento a colpire a morte Aulo Magrini? Chi in quegli attimi, a pochi istanti dall’inizio della battaglia, ebbe la freddezza e l’abilità e l’arma (il fucile) per compiere un gesto così delittuoso? Nessuno poteva, proprio nessuno era pronto con predeterminazione e con il fucile pronto, già puntato alla testa di Magrini, e centrarlo in mezzo alla fronte pur essendo girato di 90 gradi verso strada. Un’assurdità unica priva di ogni fondamento logico fattuale.

Il comandante Senio testimonia (pagina 78):
(…) A colpirlo fu un colpo di fucile, uno solo, proveniente dalla mia destra, dalla zona dove si erano posizionati i partigiani di Prato Carnico” .

Accusa infamante quella di Senio? Non credo. Probabilmente affrettata si. Nei fatti Senio ha visto Magrini cadere a terra morto con un colpo in testa e null’altro. L’ipotesi sulla provenienza del colpo è un errore di valutazione, basato esclusivamente sulla sensazione derivata dall’aver visto il foro in mezzo alla fronte di Magrini. Nel bel mezzo della battaglia Senio non può avere udito il colpo di fucile e addirittura individuato la provenienza.
La testimonianza del comandante Senio è credibile soltanto laddove afferma che ad ucciderlo è stato un colpo di fucile, un solo colpo per averlo notato alla fine della battaglia,com’egli stesso afferma .
Su questo punto posso testimoniare di avere visto Magrini (quel giorno sul ponte di Noiaris quando giungemmo a fine battaglia), attorno ad un calesse, sul quale era stato appena disteso il corpo, senza vita, con un solo colpo in mezzo alla fronte. Chi volesse affermare, oggi altre versioni su questo fatto, di sicuro non ha visto quello che io posso giurare di aver visto.
Il comandante Marco (che era alla destra di Magrini che a sua volta aveva alla sua destra Enore “Olmo”) testimonia (pagina 79):
Quando Magrini venne ucciso Io ero vicino a Enore di Sostasio e ad altri due una posizione dalla quale non si poteva vedere Magrini”.
La posizione dov’era collocato (che si vedesse o no) è del tutto ininfluente ai fini dell’accertamento sulla morte di Magrini.
Di quell’uccisione se ne accorse, probabilmente, soltanto il comandante Senio che ha visto cadere Magrini morto vicino a sè.
Sull’altra accusa formulata dal comandante Senio, cioè “che il colpo di fucile proveniva dalla sua destra, laddove erano posizionati i “partigiani di Prato Carnico”, credo si tratti soltanto di una ipotesi azzardata fatta in assoluta buona fede. Era sufficiente fare mente locale alla battaglia in atto con i tedeschi per rendersi conto della realtà. Cosa possibile anche ora a distanza di sessantacinque anni.
Qualcuno, che di questo tipo di analisi se ne intende, direbbe lapalissiano. Come poteva Senio distinguere quell’unico colpo di fucile proveniente dalla sua destra dalle scariche di fucileria, “brevi ma intense”, precedute dalle bombe a mano che i partigiani hanno scaricato sulla colonna tedesca? Questa capacità di distinzione non è stata possibile né per Senio né per qualsiasi altro partigiano impegnato, in quel momento, nell’attacco alla colona tedesca.
Accreditando a Senio l’individuazione dell’unico colpo di fucile proveniente dalla sua destra (colpo che non ha sentito ma soltanto visto a fine battaglia sulla fronte di Magrini), si deve, nello stesso tempo, riconoscere che il corpo di Magrini (anzi la fronte colpita) si trovasse rivolto, com’è logico, di fronte la strada, nell’atto di compiere il proprio dovere sparando verso i tedeschi o nel lancio della bomba a mano.
Per essere colpita dal proiettile “proveniente dalla destra” come afferma il comandante Senio, Magrini avrebbe dovuto trovarsi con la fronte rivolta verso quel lato (girato di 90° gradi) e non rivolto alla strada dov’era il nemico da colpire. Magrini è stato trovato morto nel punto riportato nella figura 3. Cioè esattamente nel punto fronti stante dove fu fermato il primo camion.


Diversamente da ciò il colpo “proveniente dalla destra di Senio” non avrebbe colpito Magrini in mezzo alla fronte bensì nella zona parietale destra del cranio.
Indipendentemente da ciò che fossero impegnati a fare “quei partigiani di Prato Carnico” (lancio di bombe o scariche di fucileria), si deve ritenere che in quella fase concitata della battaglia (uno o due minuti e con i tedeschi già in fase reattiva), i compagni erano rivolti verso la strada, cioè verso il nemico e non voltati di 90° gradi verso sud, nei confronti dei compagni schierati sulla ripa, di fronte alla strada dove stava transitando la colonna tedesca.
La ricostruzione del “teatro della battaglia” come riportato nella figura 3, effettuata sulla base delle testimonianze rese dalle parti, avverse in campo all’epoca del fatto (comandante Senio e l’ex SS Innerhofer), consente una rivisitazione, non formale, dell’evento dove appare, chiaramente intuibile, che non era possibile sparare da nord verso sud (tra compagni), mentre era possibile (e logico) sparare da ovest verso est (da tedeschi verso partigiani e viceversa).


Rimane da chiarire che ha ucciso Magrini. Va scartata l’ipotesi dei “partigiani di Prato Carnico”, com’è stato dimostrato, logicamente, analizzando le testimonianze rese e la ricostruzione del “teatro della battaglia”. Viene invece dimostrato, razionalmente, applicando la logica ai fatti come accaduti e credibilmente ricostruiti, che escludono ogni possibile coinvolgimento di “fuoco amico”, che rimane in causa una sola possibilità, cioè quella del piombo nemico.


In tal caso l’ipotesi, la sola possibile, è quella di un cecchino tedesco che nell’immediatezza dall’inizio della battaglia, ha sparato con il fucile appostato sul camion per tale eventualità.


Magrini all’inizio dell’azione era rivolto (come tutto il gruppo) verso il nemico per il lancio della bomba o per scaricare il suo Sten. “Appena iniziata l’azione”, in quell’istante, cadde a terra morto colpito in mezza alla fronte.
La conferma della validità dell’ipotesi del cecchino tedesco si trova a pagina 62 del libro, nell’analogo caso successo a Paluzza il 24 giugno 1944 (pochi giorni prima del 15 luglio), in un rastrellamento le SS hanno ucciso un mio cugino. Elia Flora, il quale mentre si sporgeva con la testa da un cucuzzolo (località Sot Pruscignon) per curiosare sulla presenza dei tedeschi, è stato colpito a morte con un sol colpo in mezzo alla fronte da un cecchino. Esattamente come Aulo Magrini


Questa è l’unica verità sulla morte di Magrini, ricostruita a distanza di sessantacinque anni dall’evento, nell’unico modo possibile.


Verità che rende omaggio a un combattente e nello stesso tempo riabilita un altro combattente, ingiustamente accusato di un atto infame, che non ha compiuto e che non poteva compiere in nessun modo: sparare con un fucile che non aveva (Olmo era un comandante con Mitra italiano); sparare da nord verso sud (con precisione) e colpire da ovest (lato strada) verso est alla fronte di Magrini rivolto verso la strada dov’era posizionato il primo o il secondo camion dei tedeschi; avere un movente.
Né consegue una diversa conclusione su ciò che ha portato a morte Enore Casali “Olmo”, compagno di tante battaglie con Arturo, Aso, e altri partigiani della zona di Prato Carnico.
L’Autore Gianni Conedera si sofferma a raccontare di “bugie e depistaggi” (pagina 85), assicurandoci la dose di giallo sul tragico evento.


Non si era mai vista, in Carnia, un’azione di guerriglia trasformata in un giallo dai contorni inquietanti in quegli anni 1944/45. Forse non si ha memoria di gialli in Carnia.
Di vero c’è quello che ha scritto Antonio Toppan: ... “avvenne in seguito a un colpo di arma da fuoco; ma da quale parte partì il colpo non è stato ben chiarito”.
Ecco il punto. Non è mai stato chiarito perché non è mai stato affrontato con capacità investigativa basata sullo stato dei luoghi, sulla partecipazione dei partigiani e sull’azione di guerriglia che durò due o tre minuti. Si è preferito, invece, appoggiarsi sui sospetti, gravi, che Enore Casali “Olmo” si fosse appropriato della borsa con i soldi di cui Magrini era in possesso al momento della morte.
Si deve pensare che al momento della morte di Magrini, quando cadde a terra colpito vicino al comandante Senio, e dopo la fine della battaglia quando Senio e Marco dovettero lasciare Magrini sul posto, essi abbiano visto e lasciato la borsa dov’era rimasta. Dobbiamo anche immaginare che gli stessi comandanti siano scappati per ultimi e che abbiano riferito ai loro comandanti la circostanza che vedeva in terra il corpo di Magrini con accanto la borsa contenente i soldi. Oppure la borsa non c’era già più? Circostanza, questa grave (c’era o non c’era la borsa?), se non riferita al comando generale della Patossera.
I fatti, appunto, sono quelli ricostruiti fedelmente utilizzando lo stato dei luoghi per la posizione e partecipazione del “gruppo d’azione della Garibaldi”; le testimonianze rese da Senio, Marco e Moro; le testimonianze raccolte dall’Autore: anche in campo avverso, significative circa la breve e intensa sparatoria, la controffensiva e il recupero della borsa con i soldi.
Fattore importante è quella che avvalora la tesi di uno scontro improvviso, tra due parti nemiche, che nel lasso di un brevissimo tempo (forse meno di un minuto) si sono scontrate, lasciando sul campo tre vittime partigiane (due garibaldini e un osovano) e ben diciassette militari SS feriti di cui quattro gravi.


Prima di ogni commento (a posteriori) sulla necessità della resistenza in quei luoghi sperduti della Carnia, è doveroso rendere omaggio a quei coraggiosi (coscienti o incoscienti) che, sapendo di andare incontro alla morte, hanno affrontato la colonna tedesca nettamente superiore in numero di uomini e in armi.
I racconti dei vari “Tempesta” e “Morgan” (che non ricordo chi siano), sono inattendibili. È vero, invece, il racconto di “Augusto” (Carlo Bellina di Cleulis) che conoscevo e apprezzavo. Nessuno dei partigiani stanziati in valle But ha partecipato all’azione sul ponte di Noiaris. Erano tutti della valle di Gorto.
Anche le varie ricostruzioni sul ritrovamento del corpo di Magrini fatte dai vari Del Negro sono non corrispondenti al vero L’estate scorsa Del Negro venne a casa mia a Paluzza, mandato da una persona amica alla quale era nota la mia presenza sul ponte di Noiaris alla fase del recupero del corpo inanimato di Magrini.
Gli feci solo una domanda: dove fu caricato il corpo di Magrini e con quale mezzo fu allontanato dal ponte di Noiaris. La risposta fu quella sbagliata e li capii che il Del Negro non era presente al fatto. Ci lasciammo per un mio altro impegno ma sopratutto perché si accorse di essere davanti a un testimone oculare e di non poter menare il can per l’aia.
Ripeto. Aulo Magrini è stato ucciso da un colpo di fucile, proveniente dalla strada dov’era stata attaccata la colonna tedesca (da ovest), e non dalla destra (da nord) come erroneamente attribuito, in buona fede, dal comandante Senio. Il comandante, con tutta la buona volontà e capacità ricettiva possibile all’attività umana, non poteva né udire né recepire un “colpo di fucile”, nel bel mezzo della battaglia, tanto meno proveniente da destra. Tra l’altro, impegnato lui stesso in quei pochi minuti a sparare sulla colonna tedesca.


Magrini è stato raccolto morto dai pochi civili presenti sul posto a lavorare e dagli altri giunti dalla vicina Noiaris sul luogo della battaglia
Il corpo era stato appena disteso sul calesse verso le 18 circa, alla presenza di diversi civili. La presenza partigiana era limitata allo scrivente e al mio compagno (ex carabiniere) vedemmo il corpo di Magrini a meno di due metri con un colpo di fucile in mezzo alla fronte, che allora giudicai di pistola.

Accuse infondate a Enore Casali “Olmo”


Enore Casali di Sostasio, nome di battaglia Olmo, è stato accusato di due orrendi delitti (Magrini e Cristofoli) senza portare lo straccio di una prova tangibile e concreta. Un’accusa fatta di illazioni o di sentito dire, nemmeno indiziaria.
Nel caso di Magrini soltanto sospetti basati sul fatto che accanto al corpo di Magrini mancava la “borsa dei soldi”. Un sospetto che è maturato un bel po’ dopo l’accaduto se è vero che l’arresto venne “deciso solamente dopo il mese di settembre”, riporta l’Autore. E che l’accusa ufficiale nei confronti di Enore Casali era di aver ucciso Magrini e Cristofoli.
È evidente che la strategia del “comando”, per “silenziare la questione importantissima della borsa dei soldi”, è stata quella di formulare un’accusa qualsiasi per giustificare l’arresto all’esterno e nei confronti dei parenti di Enore, che aveva un fratello nella stessa formazione partigiana.
Non conosco la data dell’arresto di “Olmo” (che seppi solo a fine della guerra), ma ricordo che la sera del 23 settembre 1944 ho dormito accanto al fratello di Enore, assieme ad almeno cento altri partigiani, distesi su materassi in terra, nello stanzone del primo albergo a sinistra di Cima Sappada Non vidi Enore ma vidi il fratello sereno. Era la notte del 23 settembre, prima del secondo attacco alla caserma della gendarmeria di Sappada del 25 settembre 1944.
Per l’accusa infamante di “avere sparato a Magrini” nulla di più falso, com’è stato ampiamente dimostrato con le prove risultate dalle indagini supportate da sistematici e razionali ricostruzioni fattuali, nonché da ipotesi corrispondenti a logiche incontrovertibili, come il caso della provenienza del proiettile che ha colpito a morte Magrini. È il caso di dirlo “un proiettile forviante” che ha condotto un innocente, Enore, alla morte.
L’Autore racconta che su Enore (pagina 132) “furono condotte ulteriori indagini, affidate al suo compaesano Albino Gonano, nome di battaglia Bill”, conosciuto meglio in loco con l’appellativo di “il biondino”.
Ho conosciuto Bill. Era un traccagnotto dal volto truce e più che biondino era un “rossino” Non ispirava fiducia, anzi metteva paura.
Tralascio il racconto che l’Autore fa circa le indagini e le ispezioni fatte da Bill in paese e nelle varie case frequentate da Enore. Posso solo immaginare che tali indagini e ispezioni avessero una rassomiglianza con i comportamenti della polizia sovietica.
Commento, invece, la descrizione sui ritrovamenti: “In casa sua fu trovato un emporio di materiale rubato alle famiglie della zona e nelle case visitate dai partigiani”, perché vera nella sostanza ma non nell’attribuzione dei furti. Posso affermare, anzi giurare, che nella casa di Enore c’era di tutto. C’era tutto ciò che veniva portato lì dopo un’azione.

Ricordo, ad esempio, di una caserma di carabinieri ubicata nel Cadore che andammo a prendere con partenza da Sostasio, poi verso la Pesarina per scendere a Campolongo e poi in quella caserma isolata dove prendemmo tutto quella che c’era li dentro per portarlo a Sostasio in casa di Enore. In quella casa c’era di tutto, perfino due prigionieri tedeschi dell’aviazione liberi di circolare, che erano arrivati sbagliando strada con il loro camion.
Quindi nessuna sorpresa per il materiale immagazzinato. Ma a Bill che conosceva la giacenza come me, era stato forse ordinato di trovare dell’altro. Le indagini erano rivolte verso la borsa di Magrini con i soldi che non era stata ritrovata sul luogo della battaglia. Era questa la preoccupazione del “comando”. Era questo il mistero. Chi aveva sottratto la borsa di Magrini contenente i soldi? Il comando non poteva immaginare che fossero stati i tedeschi, dei quali non aveva notizia dopo la fuga dal luogo della battaglia. Al comando era noto il recupero del corpo di Magrini privato della borsa contenente i soldi. Null’altro. Io e il mio compagno non fummo ascoltati sulla vista del corpo sul ponte di Noiaris. E non sono a conoscenza di indagini presso i civili presenti sul posto che hanno recuperato il corpo sulla ripa e portato sulla strada dove poi è stato caricato sul calesse
É evidente lo scollamento del “comando” con le formazioni com’è evidente l’incapacità di analisi investigativa.
In quel periodo, nella Repubblica Libera della Carnia, “regnava” l’illegalità quasi assoluta. Accuse false e giustizia sommaria erano, purtroppo, fatte da singoli e non da tribunali. Le attività dei comandi partigiani erano altre.
Nell’immediato dopoguerra una “compagna” (poi moglie di un comandante) mi ha raccontato che Enore era stato giustiziato a causa della borsa con i soldi.


Falso. Tutto falso. Oggi possiamo dirlo grazie a Gianni Conedera che ha fatto le ricerche in campo avverso, interrogando ex militari dell’ex SS sull’evento del 15 luglio 1944 e sullo svolgimento dell’azione, nonché su altri eventuali fatti emersi con il racconto del’ex SS Innerhofer sulla borsa di Magrini.
La borsa con i soldi (67.000 lire) era stata ritrovata addosso al corpo di Magrini dal militare delle SS Cristian Bister un tedesco di Colonia, che per primo arrivò sul posto dove fu ritrovato il corpo di Magrini. Bister consegnò i soldi al comando di Udine, ricevendo come premio 2000 lire.
Questo in sintesi il racconto, inedito, dell’ex SS Alois Innerhofer che riferisce la notizia (fino ad ora inesplorata) inerente alla controffensiva delle SS e il recupero dei “soldi” posseduti da “Arturo”.
Fatto questo nemmeno supposto dal “comando” per non condannare un innocente
La controffensiva fu condotta da una decina di militari del terzo camion, non attaccati, che salirono dal sentiero, prima della curva, fino a sopra la ripa dove trovarono il corpo di Magrini e la borsa dei soldi. Nessuna opposizione da parte partigiana, nel frattempo ritirati nel bosco.
Questi fatti non erano noti fino al maggio di quest’anno (libro Conedera). Bill, o chi per esso, nulla sapeva del ritrovamento della borsa da parte dei tedeschi, nel mentre era certo che la borsa non era stata ritrovata sul corpo di Magrini. E questa circostanza ha messo mille dubbi a tutti gli “investigatori”.
L’accusa: Arturo è stato ucciso con un sol colpo di fucile e la borsa non c’era; chi l’ha presa? Chi c’era quel giorno del 15 luglio quando Magrini è stato ucciso? Sono passati tanti giorni e i “Capi” s’interrogano. Aso è morto e non può riferire di quella battaglia. Gli altri comandanti presenti (Senio e Marco) che cosa dicono? Intanto il tempo passa e non se ne viene a capo.

Silenzio. Silenzio assoluto fino a quando si traggano conclusioni sconclusionate. Il colpo di fucile proveniente da destra, mentre non si riesce a capire che quel colpo proveniva dalla strada; la borsa con i soldi (era la cassaforte del movimento) che dopo un po’ di tempo non si trova: un dramma. Tutti elementi che concorrono a gettare ombre sul movimento.
Ma bisognava indagare per accertare dov’era finita la borsa. Non era nemmeno pensabile che l’avessero trovata i tedeschi. Di loro, i tedeschi, nulla sapevano né potevano immaginare, essendosi, i partigiani, dati alla fuga dopo un paio di minuti dalla battaglia. E nessuna notizia avevano avuto da Aso rimasto ucciso il 26 luglio, dopo appena 11 giorni da quel 15 luglio, nel primo attacco alla caserma della gendarmeria di Sappada.
Le indagini sulla morte di Magrini prendono avvio dalla ricerca della borsa con i soldi. Era quello l’oggetto importante. Erano le 67.000 lire che conteneva la borsa e che mancavano all’appello. Non a caso Bill e altri setacciarono la casa di Olmo che, si dice, fu sottoposto a torture. L’obiettivo erano i soldi, una vera fortuna. C’è lo dice Alois Innerhofer quando afferma che in Alto Adige con 67.000 lire, allora, si poteva comprare un’azienda agricola.
Attualizzate all’anno 2000: 67.000X132= 8.000.000 circa.
Aso, quel 15 luglio, ha partecipato all’azione sul ponte di Noiaris, posizionato alla sinistra di Senio (il partigiano che non ricorda chi fosse), o era vicina a quelli di Prato Carnico (Enore, Moro). Conoscevo Aso molto bene, era il mio comandante. In quell’azione sul ponte di Noiaris era assieme ai suoi compagni di Prato Carnico, che conosceva benissimo e con i quali aveva condiviso le prime battaglie partigiane. In quegli undici giorni che gli rimasero da vivere eravamo stanziati nella galleria di Cludinico, e nulla è stato ripensato sulla morte di Magrini, se non il dolore diffuso tra i compagni.
Un dolore che si rinnovò al mattino del 27 luglio 1944 quando il comandante Aso non rientrò nella galleria di Cludinico dopo l’assalto, la sera prima, alla caserma della gendarmeria di Sappada. Io non partecipai a quell’azione perché indisposto; rimasi nella galleria con altri due.


Ricordo i partigiani di Prato Carnico rientrati al mattino seguente profondamente colpiti dalla morte di Aso. Quella morte avvenuta, mi hanno raccontalo i compagni a quell’azione, nell’assalto alla caserma. In un momento di grande spregio della morte, Aso si presenta alla porta della caserma picchiando con il mitra, nello stesso istante dal pianerottolo della scala interna, parte una scarica di “maschinenpistole” che colpì Aso in pieno petto. Questo il tragico evento sulla morte di Italo Cristofoli. Falsificare l’eroismo del comandante Aso per giustificare l’uccisione di Enore, perché di questo era stato accusato, sono frutto di fantasie assurde, com’è stata l’accusa a Enore.


Analisi critica sulla morte di Aulo Magrini “Arturo” raccontata su “Carnialibera1944”


Dottor Aulo Magrini "Arturo"



Sono passati appena due mesi dalla stampa del mio “Memoriale” (di cui precede) concernente la ricostruzione dell’evento storicamente discusso da oltre sessanta anni sulla morte del dottor Aulo Magrini, il partigiano della Garibaldi con il nome di battaglia “Arturo”, che già sento la necessità di intervenire per fare alcune precisazioni sulla morte di “Arturo” siccome descritte nei documenti pubblicati su “Carnia Libera 1944”.

Intervengo, in punto, sull’intervista rilasciata a Lao Monutti da Ruggero Vidale, garibaldino con il nome di battaglia “Morgan”, su “Fatti e Misfatti del Nord-Est”. Intervista confermata da Emilio D’Agaro “Tempesta", il 15.07.2004 in occasione della commemorazione di Italo Cristofoli, il comandante “Aso” caduto il 26 luglio 1944 colpito dal fuoco della gendarmeria tedesca nella battaglia per la conquista della prima caserma a Sappada.
Prima di scrivere il mio “libercolo” sulla morte di Magrini (riportato più sopra) e sulle accuse infondate a Enore Casali, non avevo letto le interviste dei due, Morgan e Tempesta, Garibaldini come il dottor Aulo Magrini, commissario politico della brigata Carnia ucciso dai tedeschi nell’attacco alla colonna tedesca del 15 luglio 1944.
Nel leggere quelle due interviste, che riporto di seguito in stralcio, mi sono reso conto che sono due racconti che non corrispondono alla verità. E quindi la necessità di fare le precisazioni del caso, soprattutto a tutela dell’immagine del combattente “Arturo” che è stata stravolta da Tempesta e Morgan.
Non so quali siano le ragioni per le quali queste due interviste siano state riportate su “Carnialibera1944” assumendone come veritieri i fatti raccontati da Tempesta e Morgan che personalmente giudico non corrispondenti al fatti per come si sono effettivamente svolti.
Mi domando come abbiano potuto trascrivere quelle dichiarazioni senza fare le opportune verifiche, come richiedeva la delicatezza del caso. Cioè, accertare in primis, chi partecipò e come avvenne l’attacco alla colonna tedesca della SS.
Perche dare credito ai due personaggi (non partecipanti all’azione che dimostrerò). Forse per avvalorare la morte di Magrini raccontando una battaglia inverosimile? Se è questo motivo del racconto che necessità c’era di esaltare l’eroismo del “combattente Magrini”, già eroe di per se per avere affrontato, unitamente ad altre 6 o 7 compagni, una colonna tedesca forte di 50 effettivi armati con mitragliatrici montate sui camion?
Non vi era alcuna necessità di esaltare quell’atto di coraggio e sprezzo del pericolo dimostrato in quell’azione e pagato con la vita comportandosi da eroi sacrificando la propria vita.
Non occorreva proprio inventare una “battaglia” (mai avvenuta), dopo a quella vera, consistente nel lancio delle bombe a mano e lo scarico di fucileria sui camion tedeschi che hanno causato il ferimento di ben 17 militari SS dei quali alcuni gravi.
La vera azione di quel 15 luglio 1944 ebbe una dinamica chiara, durata pochi minuti. Ascoltata dallo scrivente a meno di due chilometri in linea d’aria, mentre stava per giungere sul posto dell’attacco.
Nei fatti anch’io quel giorno ero destinato a parteciparvi unitamente ad altro compagno, come ordinatoci dal comandante Aso nella galleria di Cludinico.
La stessa dinamica (lancio di tre o quattro bombe a mano e s cariche di fucileria per due o tre minuti al massimo) risulta anche dal racconto fatto di un SS, tale Alois Innerhofer (altoatesino vivente), a G. Conedera che risulta nel libro “Dalla Resistenza a Gladio”,maggio 2009.
Nella battaglia la peggio l’hanno avuta i tre partigiani morti tragicamente, come ci viene ricordato dal cippo posato nei pressi dell’accaduto a chi transita sulla statale per Paluzza.


Prima di prendere in considerazione il racconto dei due “compagni di bugie” riportato in stralcio di seguito (che smonterò puntualmente), mi pare giusto disquisire a proposito dell’attacco alla colonna tedesca del 15 luglio 1944 anche su quanto riportato sul “diario della Divisione Garibaldi” – pubblicato nel sito www.carnialibera1944.it che riporto di seguito:

15 luglio ‘44 – PONTE DI NOIARIS – ARTA
 
Viene segnalata un’autocolonna nemica in forza di circa 150 uomini armata di numerose armi automatiche e mitragliere piazzate su camion, con probabile obiettivo Paluzza o Comeglians attraverso la Val Calda. Un distaccamento del btg. Carnia si mette in postazione di fronte a Zovello. Resa inutile l’attesa perché la colonna si è avviata verso Timau, essendo precedentemente stata fatta saltare la strada e sapendo che detta colonna avrebbe dovuto far ritorno a Tolmezzo, il distaccamento si sposta in località Ponte di Noiaris. La colonna, dopo essersi fermata a Timau, lungo il ritorno viene attaccata da una pattuglia di un distaccamento del btg. Carnia operante in zona. In questo primo attacco (1) il nemico riporta quattro morti e vari feriti. (1) Giunta la colonna in località Ponte di Noiaris, viene nuovamente fatta segno di un violentissimo lancio di bombe a mano e di raffiche di mitra. La reazione nemica violentissima costringe il reparto a ripiegare. (2) Il commissario del btg., Aulo Magrini, effettua un contrattacco nel quale lascia la vita. (2) Nel combattimento cade pure il compagno Griso. A questo attacco partecipano pure alcuni elementi della Osoppo. Proseguendo verso Tolmezzo, la colonna viene nuovamente attaccata alla galleria di Zuglio da un’esigua pattuglia del btg. Carnico. Al suo rientro a Tolmezzo (3) tre quarti degli effettivi erano posti fuori combattimento, maciullati o gravemente feriti. Nessun tedesco rientrò illeso. (3)
Omissis


Commento pro veritate (ndr)


  1. In quel primo attacco non fu colpito a morte nessun tedesco. TESTIMONIANZA di Alois Innerhofer, SS partecipante all’azione colpito dalle bombe a mano sul primo camion.

  1. Il commissario Arturo non fece nessun contrattacco.

TESTIMONIANZA del comandante Senio (Beorchia Mario di Muina), partecipante all’azione che dichiara:
Durante l’attacco al convoglio tedesco, mi trovavo sul prato sovrastante alla ripida boscaglia che scende verso la strada statale Eravamo in tre comandanti. A pochi passi, alla mia destra, c’era il comandante (commissario politico) Magrini, più in là il comandante Marco (Ciro Nigris).
Gli altri partigiani, prevalentemente della zona di Prato Carnico, si erano posizionati più a nord, tra noi e il cucuzzolo che sovrasta il ponte sul torrente But”. Ad un certo punto, Magrini che era alla mia destra, cadde a terra morto. A colpirlo fu un colpo di fucile, uno solo, proveniente dalla mia destra dove si erano posizionati di Prato Carnico. È stato colpito da un unico colpo di fucile (…). Dopo un po’ ci fu il silenzio, i tedeschi non spararono più. Sul pianoro eravamo rimasti solo io e il comandante Marco.”

Da questa importante testimonianza del comandante Senio, il dottor Magrini cadde appena iniziata l’azione che durò due o tre minuti al massimo e che non ci fu nessun contrattacco, ma la fuga precipitosa verso monte.
Anche il militare della SS, Alois Innerhofer, conferma: “Mentre percorrevamo un tratto di strada in rettilineo, siamo stati attaccati dai partigiani. Il cassone del mio camion è stato investito in pieno da alcune bombe a mano che scoppiarono una di seguito all’altra. Una è scoppiata tra due militari che sedevano dietro alla schiena”. “Alois Innerhofer, testimonia che ci furono solo due o tre minuti di fuoco e che i partigiani non utilizzarono mitragliatrici.”
Quindi nessun contrattacco, ma soltanto il lancio di bombe, scariche di fucileria e poi la fuga.

  1. Perdite tedesche.


TESTIMONIANZA “Lo scoppio delle tre (o quattro) bombe non causarono invece nemmeno un morto". “Secondo la documentazione del comandante delle ’SS del Litorale, pervenutami dalla Germania, i feriti furono 17 (con elenco nominativo) dei quali 9 furono ricoverati in ospedale (cinque in pericolo di vita) e otto presso l’infermeria della caserma", (Gianni Conedera “Dalla Resistenza a Gladio”).

 


Schieramento delle forze in campo

Stralcio dal sito www.carnialibera1944.it

La morte di Aulo Magrini

Magrini, organizzatore delle prime formazioni partigiane in Carnia insieme ad Italo Cristofoli "Aso" e poi, col nome di battaglia "Arturo", commissario della Brigata Carnia - Garibaldi, morì il 15 luglio 1944 al Ponte di Noiaris, vicino a Sutrio, durante un attacco ad una colonna tedesca
La sua figura di comunista e di comandante garibaldino, oltre che di uomo generoso e di medico sempre pronto ad aiutare la povera gente, dava certamente molto fastidio a coloro i quali per vent'anni si erano schierati dalla parte del fascismo, e nell'immediato dopoguerra egli fu oggetto di una sottile campagna diffamatoria.
"Magrini l'hanno ucciso i suoi, per rubargli il denaro che aveva con sé" "Lui non era come gli altri garibaldini, per questo l'hanno ammazzato fingendo che siano stati i tedeschi." "Lo diceva lui stesso che i rossi erano scatenati!".
Omissis
Il clima creatosi con i fascisti governo e il revisionismo storico vezzeggiato dai media, ha fatto sì che alla fine qualcuno dicesse apertamente (senza peraltro che l'ANPI e l'Istituto Friulano di Storia del Movimento di Liberazione abbiano ritenuto di dover rispondere adeguatamente) ciò che finora veniva solo mormorato nelle osterie.
L'apripista è un giovanotto ovarese, tale Gianni Conedera, tanto illetterato quanto presuntuoso: scrive un volumetto dal titolo perentorio, "
L'ultima verità", che egli stesso definisce "la risultante di una seria indagine storica [...] inconfutabilmente provabile in qualsiasi sede", dove affastella confusamente episodi di cronaca nera, tra i quali inserisce, appunto, la morte di Magrini, ricostruita mediante testimonianze di persone citate con le iniziali.
Una metodologia da vero storico non c'è che dire.
Curioso come un altro discutibile libro (Lao Monutti, Uomini fatti e misfatti del Nord-est, Magma, 1995), scritto da una persona non certo di sinistra, sia in realtà assai più serio e corretto: da esso (col consenso dell'Autore) riportiamo le testimonianze degli ultimi compagni di lotta di Magrini, che non lasciano dubbi su quanto sia realmente accaduto.
Omissis

Invece, a mio modesto parere, più di un dubbio lasciano le testimonianze rese dai due “compagni amici” all’ignaro Monutti.
In primis la “battaglia” com’è descritta non corrisponde allo stato dei luoghi. E già questo fatto è privo di credibilità probante. Per l’accertamento era sufficiente avere fatto sulla località gli opportuni riscontri sullo stato dei luoghi (immutato) per accertare la non corrispondenza con i racconti “dei due”.
Ma il fatto più eclatante che si rileva nel racconto-intervista di Tempesta e Morgan è la durata dell’azione indicata in quindici minuti. Una falsità in quanto l’azione durò meno di cinque minuti: lancio delle bombe e scariche di fucileria e poi la fuga nel bosco verso monte.
E ancora il racconto dello scontro diretto (faccia a faccia) che sarebbe avvenuto tra Magrini e le forze tedesche. Il buon senso, per logica, avrebbe dovuto portare a riconoscere inverosimile la descrizione “dei due”. Nei fatti Magrini (Arturo) e Solari (Griso) dopo pochi istanti dall’inizio dell’azione erano già stati colpiti a morte dalle forze tedesche: Magrini dal colpo di fucile sparato dal primo camion dei tedeschi, Solari da una sventagliata di mitraglia non appena aveva lanciato la bomba.
Racconti, quelli di Tempesta e Morgan, del tutto Inverosimili: non c’è nessun riscontro né con la logica né con i fatti.
Trovo veramente vergognoso appiccicare alla morte di Magrini delle panzane simili. Il minimo che si deve alla memoria del dottor Aulo Magrini, “Arturo” il commissario politico della Brigata Garibaldina Carnia, è di rimuovere queste due interviste, raccontate da due personaggi che non erano presenti all’azione sul ponte di Noiaris, com’è facile dimostrare analizzando, razionalmente, il loro racconto, di seguito evidenziato nel contesto delle interviste.

INTERVISTA di Emilio D'AGARO "TEMPESTA"

Alle 7,30-8,00 di quel 15 luglio 1944 montavo la guardia (...) Omissis
Scendemmo verso il ponte di Sutrio nel primo pomeriggio. Là trovammo tre partigiani sconosciuti. Chiesi loro chi fossero. Risposero che erano di Ovaro giunti colà, con altri di Ovasta e di Prato, al comando di Magrini, per bloccare al ponte di Noiaris la colonna tedesca salita la mattina a Timau.
Seguimmo i tre, e sopra il ponte di Noiaris incontrammo i nostri colleghi di Naunina. Il piano di attacco vedeva noi garibaldini, una quindicina in tutto, appostati sulla sinistra del But e gli osovani del Btg. VaIle But - 5a Divisione Osoppo al di là, sulla riva occidentale, a pochi metri da alcuni civili al lavoro.
L'Osoppo sbandierando indicò la composizione della colonna: 3 automezzi.
Appostati sulla scarpata erbosa che dà sulla curva della provinciale da cui si stacca il ponte per Noiaris, 80-90 metri prima della galleria, gettammo delle bombe a mano (1) sui tre camion tedeschi immobilizzati da uno sbarramento di tronchi d'albero posto sulla strada. (1) Poi, dall'alto, aprimmo il fuoco con le armi portatili, ma era inefficace.
Inoltre non c'era reale comando per l'applicazione di un piano bellico adatto alla bisogna. (2) I camion erano coperti nella visuale da vari sterpi (2) e per di più immediatamente gli avversari risposero all'agguato; erano già stati attaccati in località Enfre Tors, sparando all'impazzata. Si tirava a casaccio senza prendere la mira.
(3) “Andiamo, andiamo più in là, che qui non si combina nulla. Da sopra la scarpata dopo la curva, li becchiamo!" dissi all'amico "Morgan", Ruggero Vidale. Mi seguì sul costone in direzione della galleria per dominare la strada incassata nel But e il pendio coperto di noccioleti che dal piano viario saliva verso di noi. Dalla vecchia posizione, un partigiano, un sarto, tirava ai tedeschi, imperterriti, intenti a mettere in funzione la mitraglia sull'ultimo camion che spazzava l'area. La sentimmo improvvisamente tacere. Pensando che i tedeschi avessero gettato la spugna, cominciammo a scendere lungo la strada. Vedemmo tre nemici correre lungo il letto ghiaioso del But. Sparai. Un tedesco cadde. (3)
(4) "Hai ammazzato uno dell'Osoppo! " mi disse Aulo Magrini, giunto inavvertito da dietro. "Ma non vedi che ha la borsa della maschera antigas!" fu il mio rimando. (4)
(5) "Vai da quel partigiano", ordinò Aulo indicandomi uno a qualche metro "a prendere il binocolo!" Datoglielo affermò: "Sì, è vero. È proprio un tedesco!" poi aggiunse "Andiamo giù a fermarli alla galleria". (5)
(6) Anche se si sentivano ancora spari, ritenevamo la partita oramai chiusa, tanto che Magrini si mise lo Sten di traverso alla giubba, e discorrendo sulla canna calda del mitra e di altre facezie, allineati, ci incamminammo sul lungo il piano del costone. (6)
(7) Fatta una decina di metri, dalla cortina di noccioli che segnava la fine della strada e l'inizio della scarpata, all'improvviso comparvero tre tedeschi impugnanti machine-pistole. Ricordo come oggi il primo: portava gli occhiali ed aveva le stesse, precise fattezze d'un mio paesano, Giut, andato a studiar per divenir prete, ora a Villa. Urlarono prima di sparare. Nonostante la sorpresa, "Morgan" fece rapido dietro front, come anch'io, verso il gruppo dei partigiani sopra la curva della provinciale. Le pallottole mi attraversarono la tomaia degli scarponi e il fondo dei calzoni. Magrini restò in piedi, sul ciglio del costone, tentando di impugnare lo Sten. Spiccava per il cappello da garibaldino in testa, la giubba mimetica e la borsa in cuoio dei documenti... Con la coda dell'occhio lo vidi cadere contorcendosi. (7)
(8) La salma di Magrini rimase sul posto dello scontro. I tedeschi non presero lo Sten al contrario della borsa di cuoio con i documenti Caddero nell'azione: "Griso", Ermes Solari, comandante di Compagnia garibaldina e Vito Riolino dell'Osoppo. (8)



Commento pro veritate


  1. Sulla strada statale non è stato messo nessun sbarramento di tronchi. Ciò avrebbe impedito la sorpresa dell’azione: i tedeschi, appena superata la curva davanti al ponte di Noiaris si sarebbero fermati e messi immediatamente al riparo pronti ad attaccare piuttosto che contrattaccare com’è avvenuti in fatti. L’attacco, di sorpresa, avvenne circa a metà del rettifilo (vedi schema).

I camion non erano coperti dalla visuale degli sterpi tant’è che l’attacco ebbe esito positivo. Anzi i camion erano bene in vista, sopraelevati dalla sede stradale di almeno 3 metri come suggerisce una logica conclusione.

  1. Fantasie, null’altro che fantasie. La descrizione del luogo contrasta il “teatro” dell’azione. I tedeschi erano attivi e subito dopo sono saliti sul pianoro dove hanno trovato Magrini morto e prelevato la borsa con i soldi. Il greto del fiume è ancora oggi inaccessibile dalla strada per il notevole dislivello tra loro. Nessun tedesco è morto e i feriti probabilmente erano ancora sui due camion colpiti. Il terzo camion, indenne, portava a bordo il contingente che è salito sul pianoro.

  2. Fantasie, ancora fantasie. Facezie prive di ogni fondamento logico e di verità: Non meritano commenti.

  3. Come sopra.

  4. Se i tedeschi non gli hanno tolto la giubba, Magrini che ho visto appena portato giù sulla strada, indossava una camicia che ricordo grigia e pantaloni lunghi di colore scuro alla “sciatore” come si usava all’epoca.

  5. Magrini, se avesse avuto una giubba (eventualmente tolta dai tedeschi) non era una tuta mimetica. E da quel che ricordo nei mesi passati con i garibaldini, non ho mai visto uno che indossasse una tuta mimetica. Va anche ricordato che le tute mimetiche non erano ancora in voga fatte salve quelle portate da SS. In ogni caso nessun partigiano avrebbe indossato una tuta mimetica, e ciò per ovvie ragioni. Fantasie, ancora fantasie e offensive come quella descritta riguardante Magrini: “Magrini restò in piedi, sul ciglio del costone, tentando di impugnare lo Sten. Spiccava per il cappello da garibaldino in testa, la giubba mimetica e la borsa in cuoio dei documenti... Con la coda dell'occhio lo vidi cadere contorcendosi” Magrini, come risulta dalla testimonianza del Comandante Senio (Mario Beorchia di Muina, presenta all’azione a fianco di Magrini), Magrini fu colpito “cadde a terra appena iniziata l’azione colpito da un sol colpo di fucile in mezzo alla fronte” che causò la morte immediata essendo stato colpito in mezzo alla fronte (nei cervello) che, com’è noto a tutti (salvo ai falsari) rimase immediatamente inerme.

  6. Cose ovvie.

INTERVISTA di Ruggero VIDALE "MORGAN"

Entrai nel movimento partigiano nell'aprile '44, a Rigolato. All'inizio ero con Magrini sopra Muina. Omissis

  1. Ci stetti poco, ma ebbi modo di apprezzarlo. Non c'era uomo come lui. Era comandante, ma alla pari. Montava di servizio per le due ore di turno quanto noi. Quando c'era la distribuzione delle sigarette, la nostra razione corrispondeva alla sua... Poi col "Nassivera" del comandante "Furore", fui mandato a Ravascletto, a Naunina e a Sutrio. Quando stazionavamo a Ravascletto, ci fu ordinato di far saltare la strada del passo di Monte Croce. Con Livio Puschiasis, "Carmò" di Ludaria e un austriaco dal nome di battaglia "Vienna", di notte minammo dei massi in bilico sul ghiaione sul lato destro del monte, oltre Timau. (9)

Omissis

(10) A nord erano stati appostati tre uomini con bombe a mano. Con il lancio dovevano segnare l'inizio dell'azione. Per chiudere l'imboscata, “un mitragliatore avrebbe dovuto essere posizionato sopra la galleria a dominare la strada. Le bombe a mano caddero sull'ultimo camion. I tedeschi, rapidi, si buttarono dai mezzi a terra tra i noccioli e il But, reagendo a fuoco rapido con una pesante postata sul primo camion. Il combattimento era intenso ma confuso. Si sparava a casaccio sui mezzi nemici coperti dagli arbusti. Per operare più efficacemente, con il paesano "Tempesta" mi spostai più a sud. (10)
(11) Dopo un quarto d'ora cessò la sparatoria. Credemmo che tutto si fosse concluso. Con D'Agaro mi avviai a scendere per disarmare i tedeschi. "Non vengo in basso", uscì Tempesta "perché ci sono dei tedeschi che si stanno muovendo tra gli arbusti lungo il But!" e sparò giù. Guarda che ti guarda, non notai soldati nemici. Mentre stavamo discutendo sul ciglio della scarpata cui terminava un campetto di fagioli, giunse inavvertito Magrini. "Cosa fate qua?" interrogò. "Tempesta sta ribadendo che i tedeschi stanno arrivando di là!" risposi mentre D' Agaro aggiunse: "Ho sparato e ne ho colpito uno!" Né Magrini né io vedemmo movimenti avversari.
Magrini stava in mezzo, io a nord verso la via vecchia a mezzamonte e "Tempesta" verso quella dov'erano imbottigliati i tedeschi. Voltandosi verso D'Agaro, Magrini gli ordinò d'andare a prendere un binocolo da un partigiano più in là. Udii un urlo. Dal noccioleto saltarono fuori tre tedeschi armati di machine-pistole. Tre biondi, uno portava gli occhiali... D'Agaro ed io facemmo appena in tempo a buttarci a terra fra i rialzi del campetto di fagioli arrancando per raggiungere un riparo verso il grosso dei partigiani. (11) (12) Magrini invece restò in piedi. Aveva lo Sten a tracollo. Fece appena la mossa di porlo in postazione di tiro, che i tre concentrarono su di lui tutto il fuoco delle machine-pistole. Cadde crivellato. I tedeschi vennero ancora più su, fin dove giaceva il suo cadavere. Poi scesero di corsa e caricati i loro morti, presero la via di Tolmezzo. (12)


Commento pro veritate


  1. Nel 1944 avevo 16 anni e non fumavo. Però, nella mia militanza nella brigata Garibaldina (maggio – novembre), non ho mai fatto la guardia (eravamo nascosti in sicurezza) e nessuno ha mai distribuito sigarette ai compagni. L’unica cosa che veniva distribuita era quel poco di mangiare.

  2. Com’è noto, la colonna era costituita da tre camion e, a seguire, l’autovettura del comandante, come indicato nello schema dell’azione in allegato. Lo schieramento dei partigiani era a sud del cucuzzolo e non a nord (falso). Dalle bombe a mano fu colpito il primo e non l’ultimo camion rimasto indenne anche dalla fucileria. Il primo e il secondo camion sono stati colpiti dalle tre bombe e dalla scarica di fucileria, altrimenti non si spiegano i 17 feriti tedeschi, tra i quali alcuni gravi. Si deduce anche che la fucileria non era fatta “a casaccio” (come dice Tempesta), ma centrata sui camion ben in vista essendo i cassoni ad almeno quattro metri dal suolo stradale Tutto il resto un fantastico racconto, ricostruito per sentito dire da persone non presenti o mal informate.


  1. Magrini cadde all’inizio della battaglia (testimonianza Senio), colpito da un “sol colpo di fucile”, come lo vidi anch’io, appena trasportato sulla strada e caricato sul calesse. Un sol colpo in mezzo alla fronte che allora giudicai come colpo di pistola. Quindi falso, clamorosamente falso, quanto descritto dai due (falsari) “crivellato di colpi”



Conclusione

Quelle tre pagine di storia sulla “morte di Magrini”, riportate nel sito www.carnialibera1944.it/partigiani/magrini_morte.htm, allegate in stralcio come documento di riferimento, portate a sostegno della tesi di verità sulla morte di Magrini, fanno venire i brividi per come si possa accettare con leggerezza racconti simili privi, in assoluto, di un fondo di verità.
La morte in battaglia di una persona, qualsiasi, è un fatto tragico che al sol pensarci ti prende un senso di rispetto, marcato, nei confronti di chi affronta scientemente lo scontro, avendo la certezza dell’ineluttabile rischio. Ti lascia indifeso a qualsiasi ipotesi fattuale pur sapendo che di li a poco ci sarebbe stato lo scontro e la morte possibile. Di fronte a queste circostanze appare indegna la ricostruzione raccontata da Morgan e Tempesta nell’interviste, personalissime, che poco, o nulla, hanno a che fare con l’evento di quel tragico 15 luglio 1944.
Il racconto, “dei quei due”, è sintomatico e congeniale alla tesi di chi descrive un fatto nel quale intravede l’evento, per altro noto in tutta la vallata del But e della Carnia, ma non lo descrive come se lo avesse vissuto realmente. Lo racconta, forse, per sentito dire “inventandosi” l’azione in una versione del tutto nuova rispetto alle realtà dei fatti, per come si sono svolti e per come si sono tragicamente conclusi.
Tempesta e Morgan fanno anche la descrizione dello stato di luoghi dove avvenne l’azione partigiana; ma il luogo non è quello descritto o come dovrebbe essere riconosciuto da chi vi ha partecipato. Il luogo descritto non corrisponde alla realtà com’è stato dimostrato ampiamente nei “commenti pro veritate” riportati più sopra.

Morte di Aulo Magrini “Arturo”

Il commissario di brigata “Arturo” è morto combattendo nell’attacco alla colonna tedesca delle SS, colpito con un colpo di fucile. “Un solo colpo di fucile in mezzo alla fronte”, proveniente dal primo o dal secondo camion al momento dell’inizio dell’azione, sparato da un tedesco,. Magrini, in quei duo tre minuti che durò l’azione, era in piedi (non poteva essere diversamente) che sparava con lo sten (o che aveva appena lanciato la bomba, fatto improbabile data la distanza di circa 100 metri), totalmente esposto al fuoco del nemico, armati del fucile Mauser di precisione, i quali vigili e sensibili per esperienza agli attacchi, hanno avuto buon gioco a colpire il nemico attentatore, in piedi ben visibile: un bersaglio facile per un militare delle SS. in agguato.


Questa, e soltanto questa, fu la morte di Aulo Magrini.
Incurante dell’ineluttabilità, lo scontro tra la morte e la sopravvivenza. Magrini affrontò il nemico, preponderante in uomini e mezzi, con coraggio e sprezzo del pericolo, immolandosi per una giusta causa che l’ha visto tra i primi protagonisti delle formazioni Garibaldine, delle quali era Commissario Politico di Brigata.






Sappada - attacco alla caserma della Gendarmeria Tedesca

25 settembre 1944


Stralcio dal diario della divisione Garibaldi inerente l’azione per la conquista
della caserma della Gendarmeria tedesca di Sappada



Panoramica di Sappada


Il presidio di Sappada durante il corso delle nostre operazioni era stato rafforzato e notava una forza di 140 uomini. Onde liberare la zona si tentò di procedere parlamentando: cosi si riuscì a sgomentare gli ufficiali parlando di forze ed armamento addirittura iperbolici! Alle nostre intimazioni essi risposero che il loro dovere essi lo dovevano compiere. Si decise allora l’azione. Per avere la massima sicurezza si era provveduto all’interruzione stradale al ponte Cordevole, all’Orrido dell’Acquatona, ed  all’interruzione  di ogni comunicazione telegrafica e telefonica.
L’azione fu condotta dal Btg. Magrini e da una sq. del Btg. Friuli per un complessivo di 120 uomini operanti. La sera del 23 i reparti incominciarono a serrare da lontano facendo prigionieri e morti nel combattimento con un reparto nemico che provvedeva al trasporto di tronchi onde ultimare le difese. Il cerchio attorno al nemico si strinse durante la notte. Il combattimento durò tutto il giorno 24 e durante la notte e la mattinata del 25. I nostri reparti avevano già occupato un caseggiato di fronte alla caserma e dove c’era un piccolo presidio con 4 mitragliatori. Da qui i nostri uomi­ni battevano le finestre della caserma impedendo al nemico di spa­rare. I reparti serrano fino a pochi metri la notte del 24 ed il mattino del 25, duri, ostinati, nonostante il freddo improvviso, la pioggia e la mancanza di cibo. Logorato e terrorizzato dall’accanimento degli attaccanti il presidio infine si arrende.
Perdite nostre: 3 feriti leggeri.
Perdite nemiche: 3 morti, 5 feriti, 130 prigionieri.
’armamento individuale, viveri per 150 uomini per un mese, 22 casse di munizioni varie e bombe a mano, medicinali ed equipaggiamento vario.

Premessa
 
Il racconto che sto per fare è uno dei tanti che mi vengono alla mente a distanza di sessantacinque anni dagli eventi, riguardante la mia partecipazione alla resistenza nelle file garibaldine con nome di battaglia “Kent”.
Il racconto riguarda una delle battaglie più significative ed importanti tra quelle che hanno visto la mia partecipazione. La battaglia si è consumata nei tre giorni trascorsi a Sappada, in provincia di Belluno al confine con la Carnia.

Lo scritto che precede è stato stralciato dal “Diario” della Garibaldi e riassume quella battaglia che è finita senza feriti o morti, contrariamente a quanto è descritto nel “Diario”.

La seconda battaglia di Sappada

Sappada punto strategico per gli occupanti tedeschi, posto sul confine con la Carnia che delimitava la zona “libera” della Carnia in mano alle forze partigiane, era già stata attaccata il 26 giugno dello stesso anno.
In quella prima battaglia cadde il comandante Aso, il comandante del mio reparto, il quale incurante del pericolo si avventò, mitra in mano, sulla porta della caserma intimando la resa dei gendarmi.
In quello stesso istante, dall’interno, partì una raffica che colpì in pieno petto il comandante Aso.


Dopo tale data, le forze tedesche furono rinforzate con un forte contingente di gendarmi, prelevati in massima parte da truppe “alto atesine”, avanzati nell’età e comandati da ufficiali e sottoufficiali tedeschi.
La nuova caserma fu sistemata in una costruzione di antica fattura, a fronte della strada principale, libera da costruzioni attorno e sistemata a prato. Dall’altro lato della strada, fronte stante alla distanza di circa trenta metri, una costruzione adibita a pensione.
L’obiettivo del comando, in quella seconda metà del mese di settembre, era la conquista della caserma della gendarmeria tedesca, forte di molti elementi (gendarmi, sottoufficiali e ufficiali) ben asserragliati in un edificio appena a monte della strada che da Sappada conduce a Santo Stefano.
La squadra della quale facevo parte (garibaldino Kent mitragliere, anni 16), comandata da “Saetta” (di Tualis o Mieli, età circa 35/40 con barba rosso scura), era prima stanziata in una malga (casera) vicino al Passo Siera e fu trasferita a Cima Sappada per l’attacco, unitamente ad altre squadre provenienti dalla valle di Gorto.
La squadra comandata da “Saetta” ebbe l’incarico, nel pomeriggio del 23 settembre, di recarsi a valle dell’abitato di Sappada, verso Santo Stefano di Cadore, per costituire un presidio a monte della strada provinciale a protezione degli artificieri che avevano l’incarico del fare saltare, nella notte, il ponte prima dell’abitato di Sappada per impedire l’eventuale arrivo di altre forze tedesche.
Per raggiungere il posto assegnato, partendo da Cima Sappada, passammo ai piedi del bosco a monte dell’ abitato di Sappada, da dietro la caserma della gendarmeria, posta nella borgata di Gran Ville.
Raggiunto il posto assegnato, trascorremmo la notte all’addiaccio e al mattino seguente ci avviammo per fare ritorno a Cima Sappada, anche se non udimmo, nella notte, il “botto” delle mine che dovevano fare saltare il ponte.
Al ritorno percorremmo circa la stessa strada del giorno avanti. A un tratto, appena superato una ripa scoscesa e un reticolato che portava a un pianoro a prato, immediatamente a monte della caserma della gendarmeria, Saetta ed io, che guidavamo il gruppo, ci imbattemmo in un gendarme che stava parlando con una donna vicino ad una baracca. Il gendarme accortosi della nostra presenza, mentre stavamo passando sotto la recinzione di reticolato, scappò precipitandosi, letteralmente, verso il tratto scosceso dell’altro lato del prato, verso il bosco. Saetta ed io ci precipitammo verso l’altro ciglio, lo vedemmo di spalle scappare e nessuno di noi due sparò alla schiena.
A quel punto i gendarmi che erano nel bosco per raccogliere tronchi per mettere in sicurezza la caserma, iniziarono a sparare a tutta birra e noi scappammo verso monte tra le rocce. Scappammo rasentando le rocce tra gli alberi; poi lungo l’abitato, libero da tedeschi, intanati nella loro caserma, raggiungemmo Cima Sappada, che era il posto sicuro e dove era il raggruppamento dei partigiani.
Pernottammo, assieme al resto del gruppo, nel primo albergo a sinistra guardando Sappada, ammucchiati su dei materassi stesi in terra nel salone dell’albergo.
Il giorno seguente ebbe inizio l’azione vera e propria volta alla conquista della caserma. I reparti si avvicinarono alla caserma ma nessuno affrontò la sparatoria intensa che usciva dalle feritoie ricavate nei vani delle finestre.
Facevano parte della nostra squadra “Saetta”, armato di un fucile a ripetizione di fabbricazione russa con poche munizioni, io, armato di fucile mitragliatore italiano e un compagno di Arta, di cui non ricordo il nome di battaglia, armato di mitra. Guidati da quest’ultimo, provenendo da valle verso la strada antistante alla caserma della gendarmeria, ci trovammo sul retro di una casa (forse una pensione) frapposta tra la caserma e noi, in posizione protetta dalle sparatorie provenienti dalla caserma della gendarmeria.


Quando entrammo dal retro nella casa, a piano terra, trovammo una donna e un uomo, anziani e alquanto spaventati, e due gendarmi tedeschi, anch’essi anziani e molto spaventati. Non ci fu nessun tipo di reazione e si misero da una parte. Ricordo che il compagno di Arta si fece consegnare l’orologio e anch’io feci la stessa cosa, salvo dopo pochi minuti restituirlo pieno di vergogna.

Salimmo al piano primo e da una stanza ci trovammo in quota, di fronte alla caserma dei tedeschi.
Ricordo, in primo luogo, e me ne vergogno ancora oggi dopo sessantacinque anni, di essere stato complice con i miei due compagni, di un fatto che giudico delittuoso: trovammo una bandiera italiana con lo stemma Savoia in mezzo, dalla quale strappammo la parte rossa per ricavarne dei fazzoletti rossi da mettere al collo. Che vergogna! Mi si è attorcigliata attorno al corpo e non riesco a liberarmene. Un ricordo netto come tutto il resto.
Da quella stanza aprimmo le due finestre, quella di sinistra la occupò Saetta e quella di destra io; l’altro compagno nella stanza accanto. Eravamo a non più di 30 metri dalla facciata della caserma ermeticamente chiusa, con le finestre sbarrate con tavole di legno munite di feritoie.
Iniziammo a sparare, io con la mitragliatrice posta sotto il davanzale con in testa l’elmetto del tedesco, Saetta incoscientemente davanti alla finestra. La battaglia durò per almeno una quindicina di minuti, durante i quali dovetti registrare due o tre raffiche di pistole-machine, che si stamparono sulla parete dietro di me. Sentii sibilare le pallottole molto vicino alle mie orecchie, che non mi fecero coraggio..
Dopo qualche tempo vedemmo sulla strada arrivare un prete con un rastrello (tipico della Carnia) sollevato in aria sul quale era stato appeso un asciugamano bianco.
Affianco del prete si era posto un nostro comandante. Era evidente che era stata avviata una trattativa per la resa della gendarmeria.
Dalla caserma uscirono due ufficiali che parlottarono con il comandante partigiano, e poi ci fu la resa dei 130 militari della gendarmeria tedesca di Sappada.
I militari furono trasferiti a Cima Sappada, nello stesso nostro alloggio e la mattina seguente nell’abitato di Ovaro. Quando la Carnia fu invasa dai “cosacchi” (ottobre 1944) i prigionieri vennero restituiti al comando tedesco di Paluzza.