Carlo Bellina Augusto

 

 

Nato a Cleulis di Paluzza nel 1919, emigrò giovanissimo in Francia e Algeria, ove lavorò come muratore.
Chiamato a svolgere il servizio militare, fu bersagliere e paracadutista.
Dopo l’8 settembre 1943  si unì alle forze della Resistenza, diventando comandante del battaglione garibaldino carnico Gramsci (commissario Guerra).
Dal novembre 1944 assunse il comando della brigata Val But. 

Fu più voòte decorato al Valor Militare: «in virtù della sua opera personale, svolta in condizioni di continuo pericolo e di difficoltà indicibili, riuscì a mantenere i collegamenti fra i vari gruppi della brigata nell’inverno 1944 – 1945».

Nel dopoguerra si trasferì in Veneto, a Carpenedo, diventando un dirigente locale del PCI.

A lungo si è battuto perché venissero individuati i responsabili della strage di Malga Pramosio.

É morto nel 2005.

 

Federico Vincenti

Gli austriaci onorano la Resistenza del Friuli e condannano il falso revisionismo storico

Per conoscere e valutare i dolorosi avvenimenti accaduti durante l’occupazione nazista del Friuli-Venezia Giulia annesso al 3° Reich col nome di “Operation Zone in Adriatisches Küstenland” e per denunciare le falsificazioni del revisionismo storico è importante fare una premessa e soffermarsi sulla scellerata personalità dell’SS Gruppenführer Odilo Globocnik, comandante di tutte le polizie naziste e fasciste del Litorale Adriatico. Criminale di guerra, specialista della “soluzione finale”, della lotta contro i partigiani, proveniente dalle esperienze di Majdanek, Treblinka, Sobibor e di altri spaventosi lager in Polonia.
Giunse il 23 settembre a Trieste con pieni poteri e con una schiera di 430 funzionari e SS, imponendo la sua linea politica anche alla Wehrmacht con la quale era spesso in disaccordo; nella sua strategia riteneva che in guerra era necessario soprattutto suscitare con ogni mezzo l’ostilità della popolazione compiendo su di essa le più sanguinose rappresaglie ed attribuendo la responsabilità ai partigiani.
Per attuare questa strategia del terrore e dell’inganno Globocnik costituì nuovi reparti di SS composti da criminali Volkdeutsche, altoatesini, sloveni, croati e friulani che, travestiti da partigiani, operarono ferocemente anche in Friuli e in Carnia, regolarmente inquadrati nella 24ª Karstjäger SS Division.
Ciò premesso, è giusto ricordare quanto è avvenuto in Carnia nel luglio 1944, quando questi reparti nazisti, con il fazzoletto rosso al collo, uccisero 6 patrioti alla Malghe Cason di Lanza e Malga Cordin.
Arrivarono quindi alla Malga di Pramosio dove massacrarono 16 pastori e 2 donne; successivamente proseguirono le stragi lungo tutta la Valle del Bût: in quei giorni 51 furono le vittime civili di questa sanguinaria “controbanda” nazista.
Già nei giorni successivi era chiaro chi fossero i responsabili delle stragi: il podestà di Paluzza, presente all’incontro tra le SS provenienti da Tolmezzo e i finti partigiani scesi dalle malghe, dichiarava che vi erano degli appartenenti alle brigate nere. Inoltre il parroco di Paularo ha annotato sul diario parrocchiale che i responsabili degli eccidi erano fascisti travestiti da partigiani.
Ma una chiara e definitiva risposta internazionale agli spudorati revisionisti storici è stata data dalla popolazione austriaca di Hermagor il 31 luglio scorso.
In una chiesetta nei pressi della malga di Rattendorfer Alm è stata collocata una lapide a ricordo dei partigiani italiani. A realizzare la targa è stato Heinrich Lackner, che, allora ragazzino, osservò transitare le bande naziste travestite da partigiani di ritorno dalle stragi operate in Carnia.
Lackner due giorni dopo vide giungere i nostri partigiani all’inseguimento della “controbanda”, che dapprima incendiarono il posto doganale e radunarono i pastori. Si pensava ad una probabile rappresaglia, invece il Comandante Carlo Bellina“Augusto”
comandante dei garibaldini del Distaccamento “Gramsci”, rivoltosi agli austriaci disse: «Guardate, noi non ci comportiamo come i nazisti» e li lasciò liberi.
Queste ricerche per giungere alla verità sono frutto del lungo e difficile lavoro svolto, anche presso la Gendarmeria austriaca e fra i malgari, dal ricercatore storico Dino Ariis del-l’ANPI di Udine e dallo storico Pieri Stefanutti.
Grazie anche alle loro costanti indagini gli austriaci hanno voluto la collocazione della targa in ricordo dei partigiani carnici e del Comandante “Augusto”.
All’inaugurazione è convenuta gente della Valle del Grail.
È stata celebrata una funzione religiosa da un sacerdote cattolico e da un pastore protestante. Hermann Lackner ha ripercorso i tratti salienti delle vicende storiche, Pieri Stefanutti e Dino Ariis hanno informato dei fatti accaduti al confine italo-austriaco – dagli eccidi nazisti alla costituzione della Zona Libera della Carnia – per i quali si sta preparando una ricostruzione video con l’aiuto dei collaboratori austriaci Leopold Salcher, Horst Ragusch, Hans Viertler, Reinhard Lederer e Martina Jamritsch. Presente l’ANPI con una delegazione guidata da Lorenzo Londero del Comitato Provinciale dell’ANPI di Udine e Carlo Artico dell’ANPI di Venzone-Gemona.
È stato un fatto straordinario.

 

da Patria Indipendente, 25 settembre 2011


Cronache A Malga Zonta … sotto la pioggia

Anche quest’anno a Ferragosto come tutti gli anni dal 1945 si è svolta a Malga Zonta di Folgaria (TN) una grande manifestazione-cerimonia nel ricordo dell’eccidio del 12 agosto del 1944, nel quale morirono 14 partigiani e tre civili. Nonostante la pioggia a tratti intensa e fredda le persone che si accalcano nel capannone (installato come alternativa al solito ritrovo all’aperto) sono moltissime. Nel suo intervento il sindaco di Folgaria, Maurizio Toller, invoca la pace come fluido benefico: «Da montagne di guerra a montagne di pace – dice nel suo discorso, ricco di spunti di riflessione esistenziale ancora prima che politica – questo è un luogo di memoria dove le vite dei giovani si sono intrecciate con le loro speranze. Il nostro è un omaggio che vogliamo fare ai caduti di ogni nazione, non possiamo cancellare un passato che ci appartiene e che ha dato vita alla Costituzione». La pioggia è intensa, batte sul capannone. Luigi Dalla Via, sindaco di Schio, parla di etica, di valori da riconquistare, da un punto di partenza che è dato sicuramente dalla Resistenza: «Malga Zonta è un occasione per incontrarci, per parlare di politica, la Resistenza rappresenta un secondo Risorgimento, che ci ha portato verso un ordinamento democratico». «Già si ipotizzava un’Europa dei popoli, delle Autonomie, per uscire da questa crisi mettiamo al centro del dibattito il lavoro o meglio la speranza del lavoro, questa terra, Malga Zonta, appartiene a tutta l’Italia», dice nel suo intervento, forte e conciso, Alessandro Olivi assessore provinciale. Inizia invece il dialogo con il popolo di Malga Zonta citando Calamandrei, Giuseppe Ferrandi, lo storico, direttore del Museo Storico di Trento: «Dobbiamo ascoltare le voci del tempo; la Costituzione non è una macchina che va avanti per forza d’inerzia, bisogna oliarla e metterci del carburante». Ferrandi si addentra in quello che viene chiamato «parco della memoria» un progetto significativo che vede collaborare comunità del Trentino con quelle del Veneto, annuncia la prima festa «parco della memoria» che si terrà a Pedemonte (terra di confine) in ottobre, nel ricordo di Mario Rigoni Stern. È la volta dell’oratore ufficiale, Carlo Ghezzi (foto in alto), della presidenza nazionale dell’ANPI e Presidente della Fondazione Di Vittorio, che esordisce: «Le radici della Costituzione sono nella Resistenza». La sua orazione ufficiale si scaglia contro il governo laddove si è tentato di abolire praticamente le ricor renze storiche della Repubblica le festività del 25 aprile, del 1° maggio e del 2 giugno. Un attentato politico – lo ha definito il presidente nazionale dell’ANPI – un modo per cancellare la nostra storia, la Francia non cancella il 14 luglio, gli USA non cancellano la festa del Ringraziamento. Don Giuseppe Grosselli celebra la Santa Messa, lui è un prete con lo zaino, come ama definirsi, autorevole, dinamico, parla di pace, di riflessione, di solidarietà, dei giovani. Erano presenti anche il sindaco di Lavarone, Mauro Lanzini ed il presidente della Magnifica Comunità Cimbra, Michael Rech. Rappresentanze di decine di Comuni trentini e soprattutto veneti, le ANPI del Triveneto e del Trentino- Alto Adige Sudtirol. Regista del palco e della cerimonia il Presidente dell’ANPI di Vicenza, Luigi Faggion. La manifestazione si è aperta con l’Inno d’Italia, suonato dalla banda musicale di Cornedo Vicentino, poi a seguire Bella Ciao ed il Silenzio. Hanno cantato i coristi del gruppo «Vece cane» e sulle note di Signore delle Cime si è chiuso il sipario, mentre da sopra la Plaut spuntava un minuscolo arcobaleno. Aiutiamolo a diventare un grande arcobaleno. Si è notata polemica- mente l’assenza della Provincia di Vicenza, nonostante la grande presenza di vicentini. Mancava alla cerimonia per motivi di salute Alberto Rella, che da oltre 40 anni è stato l’organizzatore principe della manifestazione e che è stato ricordato con un caloroso applauso. Un altro grande applauso è andato anche ad uno studente, appena laureatosi all’Università di Padova con il prof. Mario Isnenghi con una tesi sui fatti di Malga Zonta e in particolare sul partigiano Bruno Viola, “il Marinaio”. Il nome di questo giovane è Francesco Corniani. Ecco il suggello del suo breve e appassionato intervento: «Malga Zonta ci ha insegnato a non abbassare mai la testa, a non essere ciechi e sordi. Abbiamo l’obbligo di ritrovare i segni della storia, la memoria è fatta di tante singole vicende, di tante singole memorie». A cura di Mario Cossali, dell’ANPI Trento e del Comitato onoranze Caduti di Malga Zonta

Patria indipendente, 25 settembre 2011

A 100 anni dalla nascita di “Unio” prete partigiano

In occasione del centenario della nascita di don Erino D’Agostini “Unio” è stata intitolata una piazza in località Santa Marizza di Varmo in Friuli il 14 agosto. Con una cerimonia affollata di cittadini e partigiani è stato onorato il valoroso sacerdote che fu cappellano della Divisione “Garibaldi-Natisone”, operante nella Zona Libera del Friuli Orientale. Catturato dai tedeschi mentre dava aiuto a un partigiano ferito, fu rinchiuso nelle carceri di Udine e da qui deportato nel lager di Dachau. Nell’orrendo campo di concentramento nazista “sfidando spesso le punizioni corporali si recava di baracca in baracca a recitare una prece senza chiedere la nazionalità dei mori- turi e la fede politica”. Alla Liberazione fece ritorno Ricordo di due partigiani di “Giustizia e Libertà” A Ferragosto l’ANPI di Udine ed il Comune di Reana del Rojale hanno onorato con una manifestazione due partigiani delle formazioni Osoppo-Friuli uccisi dai fascisti. Il sottotenente di Cavalleria Giancarlo Marzona “Piero” e l’alpino Fortunato Delicato “Bologna”. Dopo il saluto del Sindaco Edi Colaoni e del Vice Presidente dell’APO ha preso la parola il prof. Luigi Raimondi Cominesi della Presidenza Onoraria del- l’ANPI friulana che fu capitano combattente nelle file del nuovo Corpo Italiano di Liberazione (CIL) che con un grave deperimento fisico e subito militò nel- l’ANPI friulana. Sono intervenuti a ricordare l’eroico prete il Sindaco di Varmo Sergio Michelin, l’Assessore alla Regione Riccardi, il Presidente della Pro Loco Toffoli, Graziano D’Agostini nipote di don Erino, Antonio De Lucia per l’ANED. La cerimonia si è conclusa con la commovente orazione del prof. Flavio Fabbroni della Segreteria dell’ANPI Provinciale di Udine, che ha ricordato l’opera di “Unio” e la sua costante missione nel promuovere l’unità tra le due formazioni Garibaldi ed Osoppo. “Unio” non fu mai dimenticato dai partigiani friulani che nel 1970 vollero decorarlo con una medaglia d’oro che avrebbe sicuramente meritato, se non fosse stato tanto umile e modesto di natura. “Unio” ci ha lasciato il suo diario “Dalla montagna a Dachau”, che descrive la sua vita partigiana e «il nero finimondo delle efferate violenze naziste», che conclude: «… chiudo la testimonianza compiuta in tempi di sopraffazione e continuo la resistenza nel ricordo e nel perdono». Federico Vincenti Da sinistra: il Presidente dell’ANPI Vincenti, il Sindaco Edi Colaoni e il Prof. Luigi Raimondi Cominesi. ha concluso la sua alta orazione con queste parole: «In memoria dei nostri Caduti, nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia della nostra Patria libera e indipendente non accettiamo che passi la proposta di legge avanzata dai deputati Fontana e altri, della destra fascista, che ponga sullo stesso piano militare e giuridico i collaborazionisti dell’invasore con i patrioti. Bisogna tornare ad essere attenti e vigilare affinché il popolo italiano non cada nella trappola preparata dalla destra fascista, il nostro dovere è di impegnarci tutti e lottare per un’Italia migliore, in un mondo più pacifico, più giusto, più umano!». (F.V.)

da Patria indipendente, 25 settembre 2011

L’eccidio di Torlano di Nimis in Friuli

Venerdì 25 agosto 1944 giunse a Torlano da Nimis, invano contrastato dai partigiani, un contingente tedesco su autoblindo che circondò alcune case situate sotto l’abitato che ospitavano poche famiglie, ma numerose: i Comelli, i Dri, i De Bortoli (mezzadri provenienti da Portogruaro), pochi altri. Era un reparto della 24a Karstjäger SS Division, di stanza a Gradisca d’Isonzo da poco trasferita. Li comandava un tenente già tristemente noto come il “boia di Colonia”. Facevano da guida alcuni fascisti tarcentini della Milizia. I De Bortoli e la famiglia di Giovanni Co melli si rifugiarono nella stalla di Ruggero Dri, Elisabetta De Bortoli rimase in cucina a far da mangiare. Tedeschi e fascisti rastrellarono il paese e le persone trovate furono rinchiuse nell’osteria: furono poi fatte uscire una alla volta e uccise con un colpo di pistola. Erano Alfredo Bazzaro, Francesco Blasutto, la figlia Romilda, il genero Giovanni Pellegrini, Giuseppe Cussigh, Valentino Petrossi, Gelindo Sommaro, Luigi Seracco. Il tenente entrò poi nell’osteria e uccise il proprietario Giobatta Comelli, la figlia Rosa e la moglie Lucia Vizzutti. L’altro figlio, Albino, nascosto nella cappa del camino, assistette impotente alla strage. Si suiciderà nel 1946. Poi fu la volta dei rifugiati nella stalla. Gli uomini furono fatti uscire uno alla volta e uccisi con un colpo di pistola. Alcune SS poi entrarono nella stalla: i mitra spararono nel mucchio finché nella stalla fu silenzio. I corpi vennero quindi cosparsi di strame e di benzina e bruciati. Morirono della famiglia Comelli: Bruno (12 anni), Giannina (3 anni), Giovanni, Idelma, Luciano (15 anni), Rita, Stefano, Vittorio, Antonia Anna Vizzutti (moglie di Giovanni). Della famiglia De Bortoli morirono: Antonio, Bruna (6 anni), Luciano (2 anni), Maria (4 anni), Oneglio (8 anni), Silvano, Vilma (11 anni), Virginia, Santa Perlin (moglie di Pasquale). Della famiglia Dri furono uccisi Ruggero, la moglie Lucia Vizzutti, Ferruccio e Teresina. Si salvarono Giovanni Dri, Paolo De Bortoli di sei anni, Pasquale De Bortoli con in braccio Serena Dri, Gina De Bortoli (13 anni) che fu riparata dal corpo della madre e gravemente ustionata nell’incendio soprav visse dopo dieci mesi di ospedale. Quindi il giovane Albino Comelli e poi la nonna Elisabetta De Bortoli che era rimasta a cucinare in casa. Il giorno dopo la gente delle frazioni vicine accorse, ma tedeschi e cosacchi impedirono che i corpi fossero sepolti. Solo quando se ne furono andati fu possibile mettere i trentatré cadaveri in una fossa comune e solo nel 1947 i resti, chiusi in cinque bare, furono accolti nel cimitero di Torlano. Perché questa strage? Era successo solamente che il giorno prima, il presidio cosacco di Torlano si fosse ritirato dal paese perché si sentiva pressato ed insicuro per la presenza di forze partigiane sulle montagne circostanti: non c’era stato nemmeno un vero scontro armato! Quello di Torlano è uno dei più efferati eccidi nazisti in Friuli durante la Resistenza. Non si è trattato di una rappresaglia, ma di un episodio di quella “guerra contro le popolazioni civili” che caratterizzò l’occupazione nazista e fascista nella Seconda guerra mondiale. La cerimonia di quest’anno è iniziata con la Santa Messa nella Chiesa parrocchiale ed è proseguita con un corteo verso il Cimitero per rendere omaggio al Sacello dei martiri dell’Eccidio. Dopo il saluto del sindaco di Nimis, l’arch. Walter Tosolini, sono intervenuti il presidente del consiglio comunale di Portogruaro, Ivana Franceschinis, e il prof. Furio Honsell, sindaco di Udine. Elvio Ruffino, vicepresidente dell’ANPI Provinciale di Udine, ha tenuto il discorso ufficiale in ricordo delle 33 vittime della ferocia nazifascista di fronte ad un pubblico che cresce di anno in anno. (F.V.) A Pagnacco ricordato Gino Sant “Belpasso” A Pagnacco (Udine), sono stati commemorati, il 22 maggio, i partigiani Caduti nella guerra di liberazione. Tra questi merita una menzione particolare Gino Sant “Belpasso”, combattente garibaldino giovanissimo che morì a soli 13 anni a causa delle ferite riporta te dall’esplosione di una bomba da mortaio nella battaglia a difesa della Zona Libera del Friuli Orientale. Il Sindaco Gianni Ciani ha portato il saluto dell’amministrazione comunale e la dottoressa Monica Emmanuelli dell’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione ha tenuto l’orazione ufficiale: «È importante continuare a ribadire i valori morali e umani portati avanti dalla lotta di liberazione, affinché non vengano oscurati dall’indifferenza. Si riportano pagine di grandissima maturità sociale e civile ed è, secondo me, straordinario il fatto che fu una lotta condotta da ragazzi, da giovani, con una consapevolezza civica, moderna e attuale, con un’abnegazione al dolore e al sacrificio che credo sia ora impensabile. (…) Occuparsi oggi di antifascismo e di Resistenza ha ancora un senso e un significato, che va oltre la pura commemorazione: è l’attestazione dei princìpi della democrazia. Le falsificazioni della storia offendono prima di tutto la memoria di quanti hanno dato la vita per il rinnovamento del Paese, ma offendono anche chi vuole onestamente conoscere il processo di democratizzazione del proprio Paese e della società in cui vive. Sta a noi, allora, combattere in maniera pacifica, tramite la memoria e il ricordo, attraverso l’educazione alla cittadinanza, coinvolgendo anche i più giovani». Il 67° dell’eccidio della Valle del Bût Il 21 luglio 1944 una banda formata da SS tedesche, provenienti dalla Carinzia, e da repubblichini travestiti da partigiani della “Garibaldi” Carnia, si presentò alla malga Pramosio, dove fu accolta e rifocillata finché improvvisamente si scatenò, uccidendo uomini, donne e bambini, in tutto 22 persone. Poi, scendendo a valle nel bosco Moscardo uccisero 2 donne e 2 boscaioli. A Paluzza distrussero gli impianti telefonici e telegrafici; a Cercivento uccisero 3 partigiani e civili. Il 22 luglio un reparto di 300 uomini composto da SS tedesche e italiane, da Tolmezzo piombò su Paluzza, unendosi agli assassini che avevano seminato la morte il giorno precedente. Rastrellarono le case, ridussero in fin di vita 5 uomini, arrestarono varie persone, alcune delle quali vennero uccise a Sutrio, al l’Acquaviva, al ponte di Noiaris e a Piano d’Arta. Le vittime complessive furono 52. Il 67° anniversario dell’eccidio della Valle del But è stato commemorato con una serie di iniziative: giovedì 21 luglio con una messa nella cappella di Malga Pramosio, seguita dal saluto delle Autorità e la sera la proiezione del documentario storico “Malga Pramosio, 21 luglio 1944” del ricercatore Dino Ariis. Il 24 luglio a Sutrio, deposta una corona al Monumento presso il ponte, è stata inaugurata una scultura in legno (foto a lato) commemorativa dal titolo “Per le mamme carniche”, a Paluzza, in piazza del Municipio hanno portato il loro saluto Giovanni Battista Somma, Commissario Straordinario della Comunità Montana della Carnia, Elia Vezzi sindaco di Paluzza e Federico Vincenti, Presidente dell’ANPI Provinciale di Udine. La relazione ufficiale è stata tenuta dal prof. Andrea Zannini. Ecco alcune parole dell’applaudito saluto del Presidente dell’ANPI Vincenti: «Cari amici, l’Italia è stanca di inutili dìatribe e di tanti silenzi, ha bisogno di una buona amministrazione, di correttezza e moralità, della difesa del mondo del lavoro e della scuola; soprattutto ha bisogno di fedeltà ai valori, su cui si fonda la nostra convivenza civile, indicati dalla nostra Costituzione, legge suprema e fondamentale dello Stato, questa nostra Costituzione, che il premier vorrebbe mutilare a suo piacimento. Per questi valori l’ANPI si batte affinché l’Italia non diventi il Paese della diseguaglianza e della sopraffazione e assuma invece un volto nuovo, moderno che corrisponda alle speranze di chi ha combattuto per la libertà, spesso sacrificando la propria vita».

da Patria indipendente, 25 settembre 2011