Massimo Dubini

La casa del diavolo. Capitolo 4

 

“LA RELIGIONE DECLINA”

4.1. La Cooperativa e Cassa Rurale di S.Canciano.

Dopo la chiusura in un riserbo scontroso e protestatorio verso gli avvenimenti risorgimentali, la protesta temporalistica andò affievolendosi e prevalse la convinzione che l’indipendenza del Papa poteva garantirsi senza mettere in discussione l’unità d’Italia dopo il risorgimento. In ordine ai problemi sociali si trovò che il cristianesimo ne offriva la soluzione, “purché s’avesse avuto il coraggio di aprire porte e finestre al vento genuino del messaggio evangelico”; un’esigenza questa, che divenne sempre più urgente per i cattolici, poiché si andavano rafforzando le organizzazioni di classe degli operai e dei contadini ed era in atto il lavorìo da cui nacque il Partito Socialista. Con la Rerum Novarum la Santa Sede insistette sulla necessità che i cattolici si adoperassero per formare proprie associazioni operaie per evitare che i lavoratori cattolici fossero costretti ad entrare in associazioni dirette da capi contrari alla religione. In questo quadro si svilupparono le prime latterie turnarie, Società di Mutuo Soccorso e Casse Rurali, forme convenienti ai tempi e congeniali al senso pratico friulano.
Anche nella Val Pesarina, s’istituirono organizzazioni di stampo cattolico rientranti in quest’ottica:

“ (...) Posti a grande distanza da Udine e dalla stazione ferroviaria eravamo alla mercé de’ mercanti grandi e piccoli, pagando un occhio ogni articolo di consumo, coll’aggiunta degli interessi per ogni minima mora. Visto ciò il parroco Piemonte, facile ad entusiasmi per ogni bella idea, pensò d’istituire la Cassa Rurale a fine di tenersi vicino il popolo e porre un argine a’ mali morali che apporta l’emigrazione, promovendone il bene materiale.”

I diari di don Roia c’informano che la Cassa Rurale venne istituita “il 2 dicembre 1895”, sotto l’egida di don Maria Piemonte, contando all’attivo già “57 membri dei diversi paesi”; a questa si aggiunse nel 1897, un magazzino cooperativo che cominciò “a provvedere gli articoli di consumo di prima necessità e darli al di grosso” . Immediate furono le critiche da parte dei commercianti, dei negozianti, insomma da quella classe borghese che vedeva in questa nuovo sodalizio un pericoloso concorrente tanto da “intentar un processo per riunione pubblica non autorizzata”, che però si risolse in favore dell’organizzazione cattolica segnando il principio degli “smacchi pe’ liberali”.
L’atteggiamento del curato all’interno della comunità, dovette essere abbastanza chiuso, totalmente improntato verso un integralismo dottrinale; la Cassa Rurale fu costituita non solo per monopolizzare la vita economica del paese, ma anche per ostacolare tutte le forme di aggregazione che non rientrassero nell’ordine cattolico, come dimostra per esempio l’anonimo cronista carnico che alla costituzione della Società di Mutuo Soccorso informava che: “tante belle speranze -suscitate appunto dalla nascita della Società Operaia- vennero un po’ dissipate nel 1896 dal parroco locale che senza dargli nessun motivo cominciò ad osteggiarla in chiesa e fuori”. La figura del prete all’interno delle comunità carniche veniva vista come simbolo di sacrificio e di autorità, dettati “dall’austerità e la rinuncia ai piaceri ordinari della famiglia e della socievolezza maschile”; esso “aveva facoltà di picchiare i bambini indisciplinati. Poteva esprimersi contro il ballo. Denunciava i peccatori facendo il nome durante i servizi religiosi, attività indicata metaforicamente nel gettare uno giù dal pulpito”; il prete che aveva una stretta relazione con un importante imprenditore locale era in grado di “raccomandare i suoi parrocchiani per un posto di lavoro, acquisendo egli stesso potere e garantendo al padrone dipendenti poco conflittuali”. Manifestazione di queste capacità è come don Piemonte riuscì a monopolizzare le iniziative del paese; all’apertura dell’asta per la fabbrica del municipio, fece di tutto perché venisse data in appalto alla cooperativa “bianca”e dopo “accordi presi con l’impresario Della Marina” questa rimase nelle mani del sacerdote, il quale “avrebbe dato di che procurarsi il pane a’nostri”. All’inizio del nuovo secolo fece indire una riunione “per l’istituzione di un forno rurale”, mentre qualcuno già lamentava che questo poteva riuscire solo quando l’amministrazione non sarebbe stata “esclusivamente nelle mani del parroco”. Mentre i soci continuavano a crescere –“la cassar Rurale poteva contare 180 soci nel 1901”-, iniziarono anche le prime difficoltà dovute all’incapacità amministrativa e da prestiti mal distribuiti: “s’incominciò a sbagliare col prestar denaro senza garanzie, col aprir spaccio al minuto e di osteria, col cadere in contravvenzioni e sequestri disastrosi per ragione dei dazi, col dare merce a credito senza esigere interessi, coll’affidare a ditte sballate quantità di merci non assicurate, forse anche coll’adoperare denaro della cassa per i lavori in chiesa ed infine con una registrazione e contabilità che rendeva impossibile ogni controllo”.
Fatti che sono avvalorati da ciò che un socio, in data 25 marzo, scrisse a don Roia e nelle cui parole scorgiamo delle accuse pesanti verso la gestione dell’associazione:

“finalmente si stanno conchiudendo gli affari del magazzino che passerà in mano ad altri soci, i quali costituiranno un'altra società e probabilmente si scioglierà anche la Cassa Rurale non potendosi andar innanzi con tanti prestiti abusivamente, illegalmente ed imprudentissimamente accordati a certi soci fuor dal limite fissato, e anche a soci di moralità economica più che dubbia”.

Questo momento storico vede anche, come abbiamo visto, la costituzione da parte dei socialisti di una Cooperativa di Produzione e Consumo; ai socialisti “impegnati al massimo nel potenziamento della loro cooperativa che in breve tempo fu in grado di contrastare efficacemente, sul piano della concorrenza, l’organizzazione bianca”, si affiancarono le prime conferenze socialiste, che negli emigranti trovarono un terreno fertile e già predisposto ad accettare le nuove idee; il parroco don Piemonte rispondeva dal pulpito in termini passibili di denuncia “per eccitamento all’odio fra le classi sociali”, oppure reagiva “rifiutandosi di officiare un funerale ad un iscritto socialista, il cui feretro era seguito dalla bandiera del Circolo e dell’Operaia”, o se i matrimoni erano civili e da questi nascevano dei figli egli “ricusava di battezzarli perché spuri”.
Mentre i “socialisti si entusiasmano sempre di più capitanati dal Biondi Grassi e da Giosuè Fedeli”, la Cassa Rurale veniva “continuamente assaltata dai creditori che volevano essere pagati. Il 19 marzo 1904, un tal Foleschini scriveva che “siccome è ormai provato (anche troppo) che unico ed esclusivo responsabile del disastro è il parroco così, per giustizia, per convenienza e per cento altre ragioni, è necessario che egli si accolli spontaneamente di liquidare almeno un buon terzo del debito”; lo stesso don Roia consigliò al parroco “di spogliarsi di tutto”.
La risposta di Don Piemonte fu di “non essergli riuscite nuove le osservazioni” e che sarebbe “minor male il cader in mano al tribunale” in quanto se si trovasse che egli fu mancante nell’amministrazione, si verificherebbe pure quanto si fece da parte sua “ per evitare alla società delle perdite”. Ciò che il prelato intendeva per “mancante” furono i soldi che nei bilanci della Cassa Rurale non tornavano; infatti i prestiti che vennero dati senza osservare il limite imposto dallo statuto fecero aumentare a dismisura il bilancio passivo.
Come la situazione stesse peggiorando sempre di più è dimostrato dalle parole ancora più pesanti di alcuni soci, che durante una riunione per chiarire la situazione, ormai grave, si sfogarono prendendosela con il prete:

“Parlò l’avvocato dimostrando essere innanzi tutto necessario ad ogni costo di evitare la dichiarazione di bancarotta: doversi quindi ogni socio rassegnare a pagare la sua quota solidale di quel quid che è indispensabile a coprire il deficit…la mansione di cassiere venne affidata a Gio. Battista q. Nicolò Giorgessi da Radar di Avausa. Questi ad un certo punto salito su di una panca disse che siccome molti fra i presenti avevano carichi di famiglia, diversi anche debiti onerosi prima che s’avesse a nuovamente a sacrificarsi con questo nuovo balzello esser giusto che il parroco causa di tutto il male e senza aggravio di famiglia desse prima tutto il suo. Applaudirono, e lui cominciò una delle sue anguillesche discorse, cui non so capacitarmi (...). Lo rimbeccai con ira dacchè abbastanza aveaci turlupinati. Domandate spiegazioni sul credito esageratissimo contro lo statuto ed i deliberati fatto a Lorenzo Gambin, Michele raccontò una pagina di storia della Cassa che fa onore a lui, e pone sempre più in luce la malafede di Piemonte, il quale assisteva al tutto con una indifferenza che avrebbe tramutata in veleno la maggiore flemma..(…). Così un poco alla volta cominciavano i soci brontolando e protestando e dicendo plagas del parroco a squagliarsi (...). Nell’uscire dicevano che si potrebbe gettare giù il pulpito, dacchè vi si predica il bello ed il buono e nell’oscuro si rovinano le famiglie; Lorenzo Leon q. Baldassare aggiunse che per cento anni non si faranno parroci a Prato ed altri applaudirono”.

La crisi finanziaria della Cassa Rurale, creò nel paese una forte tensione tra la gente e il parroco e ciò è dimostrato anche da uno dei primi processi a sfondo politico contro i socialisti di Prato Carnico, denunciati da don Piemonte e dal sindaco per aver disturbato una funzione religiosa la notte di Natale:

“Era una folla di oltre 500 persone tra uomini e donne e tra vecchi e bambini, che come un sol uomo insorgeva protestando contro il parroco per la imprudente e ingiustificata interruzione delle funzioni religiose della notte di Natale. La chiesa era diventata più che una stalla un lupanare - si gridava, si bestemmiava, si rideva (...). Era l’esplosione spontanea di un malumore da molto tempo represso contro il parroco, la rovina economica di molte famiglie, causata dalla defunta cooperativa cattolica, e per il licenziamento dell’ex nonzolo benevolo alla maggioranza. E dopo che la chiesa era diventata una specie di mercato, il parroco volle indossare i paramenti religiosi per celebrare la messa, ma molti specialmente i fedeli vecchi credenti, sbarrando il passo, fecero comprendere che la messa non poteva essere fatta in quelle condizioni. Onde il processo. Ma cosa inaudita, gli accusati non sono i fedeli (..) non è lo stato maggiore del parroco. Gli accusati sono 17, tra i quali 16 accorsero in chiesa quando questa era diventata un bordello, e sono processati perché socialisti, ed infatti l’atto di accusa falsamente afferma che sono ascritti al Partito Socialista; questa enormità basterebbe a dimostrare la montatura del processo, giacché tra gli accusati, solo 3 appartengono alla sezione socialista di Prato”.

 

Lo stato di caccia alle streghe scatenato nel paese che secondo i socialisti fu attuato per aizzare l’opinione pubblica contro di loro, è dimostrato dai fatti successi i giorni seguenti la notte in chiesa:

“La mattina della seconda festa di Natale si trovarono degli scritti a carbone ed lapis sui muri di qualche abitazione, con le stupide diciture di: morto a Tizio e a Sempronio (...). Naturalmente le indagini sono rivolte nel campo socialista - ma noi non dubitiamo, e con ragione, che quella sconcezza sia parte della gente così detta dell’ordine allo scopo di aizzare la opinione pubblica contro di noi e provocare disordini (...).”

E ancora:

“la mattina susseguente dell’Epifania, due ubriachi impedirono al campanaro (dicesi a mano armata) di suonare l’Ave Maria. Essi sono stati riconosciuti e denunciati. Le autorità locali proclamarono che essi sono socialisti! Si ha un bel dimostrare che i due ubriachi non appartengano alla nostra sezione; niente affatto: essi devono essere socialisti! Si può essere più cretini di così?!”.

 

Questo atteggiamento da parte del prelato e di qualche socio a lui molto vicino, non servirono comunque a distogliere lo sguardo sull’ormai imminente sentenza alla quale stavano per andare incontro; anche se la cessazione dei pagamenti verso i soci della cassa risaliva al 31 dicembre 1904, le fonti ci dicono che dovettero passare altri tre anni prima che venisse dichiarata la bancarotta. Qui di seguito viene riportata parte della sentenza del Tribunale di Tolmezzo:

“Visto il ricorso presentato ieri 28 dicembre 1907 dal presidente della Cassa Rurale di Prestiti di S. Canciano di Prato Carnico (Società Cooperativa in nome collettivo) diretto ad ottenere che sia dichiarato il fallimento della società da lui presieduta;
Visti i diversi documenti dai quali risulta già il dissesto economico della società e che d’altronde questo è notorio in paese;
Ritenuto che le dette condizioni disastrose sono confermate dal Presidente (...)., il quale farebbe ascendere il passivo attuale a non meno di lire 70.000 (...).., che la società trovasi in stato di cessazione di pagamenti risalente al 31 dicembre 1904 motivo per cui a detta epoca devesi dichiarare avvenuta la cessazione stessa; ritenuto che trattandosi di Società in nome collettivo (...) devesi dichiarare il fallimento anche dei singoli soci (seguono i nomi e cognomi in numero di 202);
Ordina l’apposizione dei sigilli agli assegnamenti tutti di spettanza dalla Società e dei singoli soci (...)”.

L’astio verso il parroco da parte degli stessi devoti, veniva sottolineato da un fatto alquanto singolare ma significativo:

“Durante la festa di San Luigi (...), interpellati alcuni giovani, evidentemente dei più devoti, se favorivano portare il santo in processione, essi posero il dilemma: o ci venga pagata la nostra opera, oppure anche il parroco celebri gratis l’odierna messa. Dal rifiuto di questi ne conseguì che il protettore della gioventù non fu portato a respirare l’annuale boccata d’aria pura. Ci domandiamo: quando proposte tali vengono fatte da prescelti per una funzione quale il pensiero generale? Cerchi altro rifugio, Don Maria, farà molto meglio”.

Così “toccati nell’interesse, pensando al danno incombente e dimenticando i vantaggi goduti, lasciandosi convincere dalle parole degli avversari anche una parte dei così detti cattolici non solo se la presero con il parroco, ma per antipatia contro di lui disertò la chiesa e non pochi, negarono la stima ai preti in massa e seguirono l’esempio dei socialisti e liberali ad occhi chiusi. E quegli stessi che non rinunciarono alla chiesa, ai sacramenti, alle funzioni, divennero estremamente freddi con il parroco, il quale partì senza salutare né venir salutato, solo, accompagnato da nessuno”.
Il pomeriggio del 30 dicembre 1907, tra “i pianti, l’ire e bestemmie ed imprecazioni di tanti che parevano addirittura impazziti”, i rappresentanti del tribunale di Tolmezzo e carabinieri cominciarono “ad andare di casa in casa mettendo sotto sequestro mobili di ogni fatta, formaggi, animali” delle famiglie coinvolte nel disastro finanziario, mentre il grido beffardo dei socialisti “viva il clericalismo!” riecheggiava in maniera ironica dalle colonne del Lavoratore Friulano. Il ricordo di questo avvenimento rimase impresso nella memoria dei valligiani per molto tempo; continui furono i “rinfacciamenti dei figli ai padri, e questi e quelli gettar la colpa sul parroco”, mentre solo “quei che ragionavano, dicevano che il parroco aveva grandissima colpa in quanto più di uno aveva pescato approfittando del disordine nelle registrazioni”. Molte furono le famiglie che per far fronte al debito sociale, dovettero persino vendere i loro beni, ipotecare la casa e sottoporsi a durissimi sacrifici.

 

4.2. Cambiamenti di mentalità e di costumi.

La bancarotta della Cassa Rurale non mandò solo sul lastrico molte famiglie, ma incrinò fortemente il potere del parroco sui paesani. Oltre a questa situazione dettata da un fattore interno, l’emigrazione, come abbiamo visto, sembrava introdurre rapidamente notevoli modificazioni nella società carnica e friulana: cambiarono i rapporti sociali, i costumi, cominciavano a circolare idee nuove, i paesi periodicamente si svuotavano, emigravano anche donne e ragazzi e la società tendeva a rimescolarsi.
E’ innanzitutto in Carnia, “benché zona di antica tradizione cristiana”, che il rapporto tra l’emigrante e l’autorità religiosa tende progressivamente a raffreddarsi, a vedere stravolte le antiche usanze per cedere il posto a nuovi elementi laici e civili. Attraverso l’emigrazione s’introducono idee e atteggiamenti nuovi che sconvolgono le abitudini e il sistema di valori della comunità.
In Carnia l’indifferentismo religioso è strettamente collegato all’importazione di idee socialiste dalla Germania: “a Prato Carnico gli emigranti sono nella maggioranza socialisti o aspiranti tali; si parte senza venire ai sacramenti”. Così anche a Pesariis dove “la maggioranza, siccome (sono) socialisti o anarchici non si interessano né dell’opera del sacerdote né della grazia né dei confronti dei sacramenti”.
Nei diari di Roia si legge che:“da qualche anno è introdotta in canale questa mala moda di aspettare; aspettare prima di portar alla chiesa i neonati, usanza che alle madri d’un tempo avrebbe messa paura non poca.”
Questa situazione portò allo scontro tra due visioni diverse, quella fideistica-cattolica e quella laico-socialista ed è ben rappresentata da questo esempio: il 1 dicembre 1907, un tal “sign. Pèndala di Pradumbli” si presentò alla canonica a protestare con il parroco “perché battezzata una bambina presentatagli per il battesimo, ed imporgli la cancellazione dal suo libro”; il parroco di risposta disse che “in seminario gli hanno insegnato a battezzare e non a sbattezzare” ma che ad ogni modo “loro signori potevano prendere la bambina e con l’accetta tagliare via tanto di testa che era stata bagnata dall’acqua battesimale”. I socialisti scorgevano nel battesimo “una quantità di vuote cerimonie, intese ad impossessarsi del neonato per non lasciarlo più, sino alla morte”. Gli stessi nomi che venivano dati ai bambini: “Comunardo, Ribelle, Libero, Ateo, Risveglio, Idea, Vero, Libertario, Vindice, Nullo,” sono un significativo esempio di come ai primi del ‘900 la mentalità di queste zone fosse decisamente rivolta a trasformare i vigenti rapporti sociali.
In Carnia la prospettiva salvifica del Vangelo veniva sostituita con concrete innovazioni sociali mutuate dall’anarchismo e dal socialismo internazionalista; “una consolidata emigrazione tendeva a far crescere la componente dei non osservanti, creando un antiparrocchia: i capi famiglia anarchici e socialisti sembravano trascinare in una sorta di moderna apostasia l’intero nucleo famigliare”; il socialismo e la religione divennero “una serie convergente” o meglio il socialismo fu “una conseguenza contingente delle umane aspirazioni religiose senza comunque rinunciare a nessuno dei postulati del socialismo”.
La diffusione di matrimoni civili e l’usanza di non battezzare non rientrava solo esclusivamente in uno schema pregiudiziale anticlericale, ma si basava su valori metabolizzati che cominciavano a penetrare e a sostituire quelli della religione cattolica, vista dai socialisti pesarini come un marchio di fabbrica:

“La religione cattolica è madre della più stolida superstizione, della più brutale intolleranza (...). Non solo i chierici imprimono il marchio di fabbrica chiesastico fino dalla più tenera infanzia sui propri figli, la cui mente non è in grado ancora di pensare e di comprendere, ma si credono in diritto ed in dovere di macchiarne anche altri magari con l’inganno, magari con il sotterfugio, contro la volontà di genitori liberi pensatori; i quali ritengono invece sia dovere di un onesto uomo rispettare e difendere dal pregiudizio le giovani menti fino a tanto non siano in grado da soli di scegliere ciò che credono la via della giustizia e della verità (...)”.

L’emigrante stagionale tendeva ad assimilare rapidamente gli usi stranieri; esso imparò a “farsi strada da solo, a conoscere la legittimità della lotta dei propri diritti, si organizza; all’estero, in un nuovo ambiente, i cui costumi sono in contrasto con le strutture familiari patriarcali, libero dal sistema di credenze religiose, apprende un nuovo stile di vita che lo porta a considerare con occhi diversi la comunità di partenza”. Per essi la lotta anticlericale veniva intesa come lotta contro il prete preso come setta o come partito politico: “la religione di Cristo, quella predicata duemila anni or sono dal grande martire di Nazaret non ha nulla di comune con quella che predicano oggi i preti (...). Certamente Cristo è stato un grande rivoluzionario che voleva l’uguaglianza, l’amore e la pace tra gli uomini”, e “a noi non importa combattere il prete in quanto è ministro di una religione che non è più la nostra, ma in quanto è esso il più fedele e il più utile alleato della borghesia reazionaria”.
La nuova mentalità si basava sui principi della scienza e della ragione, sulla possibilità di esprimere il libero pensiero contro il dogmatismo e l’oscurantismo clericale; il mito e l’idealizzazione di Giordano Bruno (Nola, 1548 – Roma, 1600), ne sono un lampante esempio. Nella seduta del circolo socialista del 15 febbraio 1907, si legge : “si delibera unanime che se anche viene negato il permesso, di insistere e di fare la dimostrazione. La partenza sarà alle 101/2 partendo da Prato per Avausa subito di ritorno avanti la chiesa di Prato ove parlerà un compagno, indi partirà per la via di Pesariis, con una piccola sosta per i paesi di Pieria e Osais”.
La delibera si riferiva alla giornata commemorativa del libero pensatore di Nola che si svolse il 23 febbraio 1907:

“Nella giornata commemorativa della tragica fine del grande pensatore di Nola, in cui tutta l’Italia anticlericale ha significato il suo pensiero libero, Prato Carnico laico ha pure voluto scendere in piazza per far sentire la sua voce di indipendenza ai preti con o senza calotta (…). Duecento dimostranti, fra i quali molte donne, hanno percorso con parecchie bandiere le diverse frazioni del Comune, serbando la più serena imperturbabilità di fronte ai rumori e alle insolenze cui furono fatti oggetto in special modo a Pesariis, ad istigazione di coloro che sono ostili (...). Parlarono applauditi diversi compagni, accennando il significato della lotta anticlericale e plaudendo alla Francia pioniera della civiltà (…). Lo strano apparato di forze in un comune che non dà mai motivo di simile intervento se ha contribuito a dare solennità al fatto, ci prova pure quanto l’anima torbida di certuni tremi per il risveglio delle forze del popolo, calpestato nei suoi diritti e nelle sue più care aspirazioni (...).”

Altro elemento che si allontanava dai principi cattolici erano i funerali civili, non religiosi; un valligiano scriveva in data 23 novembre 1904:

“Essendo andato a Tolmezzo o dovechessia il parroco, per lui mi sono recato a Truia per funerale di Osualdo detto Martin del Fori, morto a 31 anni. Era socialista irreligiosissimo. De’ tre figli avuti dalla legittima moglie nessuno è paranco battezzato. Raccontano che ammalato di tisi, come altri suoi due fratelli ora morti, quando sputava andava orribilmente bestemmiando. È morto senza sacramenti”.

E ancora il 27 febbraio “furono fatti i funebri del compagno Solari Antonio di Giust, di Pesariis” appartenente alle file socialiste fin dai primi anni; i funerali furono fatti in forma puramente civile “trattandosi di un anticlericale ed ateo”, così anche per Cimador Valentino, “uno dei migliori compagni, un pioniere dell’idea”; al funerale in sola forma civile parteciparono “ben cinquecento persone”.
La polemica dei socialisti tendeva a scindere due piani di giudizio: “da un lato la religione cattolica, oggetto di fede, dall’altro l’apparato clericale, la santa bottega”.
I socialisti si scagliavano contro la ricchezza della chiesa, contro l’incoerenza della vita privata dei preti colle massime cristiane, contro la differenza che essi facevano tra il ricco e il povero:

“È oggetto di viva e generale indignazione il contegno avuto dal pretume (preti, nonzoli, fabbricieri) durante il funerale di domenica all’operaio Coi, vittima del lavoro. Si trattava di un povero cristo il quale aveva lasciato ben poche speranze di lauto compenso al prete e alla chiesa per cui non può sorprendere alcuno se i rappresentanti di Dio , in terra così avidi di palanche, abbiano omesso di seppellirlo con quei riguardi che meritava (…). Di conseguenza pochissimo sbatacchiamento di campane, preci cantate con il tono di voce più moderato che mai siasi udito e quello che v’ha di peggio nessuno di quei preparativi di esteriorità che i preti sanno così bene ammainare quando loro torna conto. Per la circostanza azzardarono far adagiare la salma sopra due tarli, sporchi e preistorici cavalletti scavati in qualche ripostiglio. E poi si venga a dire che siamo eguali davanti al loro Dio!”.

 

La particolarità dei funerali “rossi”, soprattutto nell’ambito anarchico, era che “la bara si trovava in testa al corteo funebre”, diversamente da quello di rito cattolico che pone davanti al feretro il prete. Questo aveva un forte significato simbolico che si opponeva alla visione cattolica della vita. La gerarchia, l’ordine della marcia, l’assenza delle cariche religiose, metteva esclusivamente in primo piano l’uomo; per loro “il socialismo non ha niente che fare con la religione, che ci sia o non ci sia un Dio, che ci sia o non ci sia un ‘altra vita dopo questa, che Cristo sia il figliolo unico del padre eterno o un uomo straordinario, che cosa importa? Noi vogliamo la giustizia su questa terra”. Veniva a mancare il referente per un improbabile destino ultraterreno, sottolineando il ricordo, la memoria del defunto e la solidarietà dei compagni; “si poteva presumere che ciascuno, nel seguire la bara, pensasse al giorno in cui avrebbe guidato la processione: nel muoversi di ciascuno sulle impronte dell’altro, ogni partecipante s’identifica in coloro che lo accompagnano - incluso il defunto”.

4.3. L’allontanamento dalla religione.

Patrik Heady parla di come la “stregoneria e il malocchio” siano ancora oggi inserite nei meccanismi psicologici degli abitanti delle valli carniche: per esempio “le malas lengas” possono creare invidia fra le famiglie e causare “qualsiasi disgrazia fisica”. Le comunità alpine immerse nella natura traevano da essa regole di comportamento e rituali simbolici collegando “il vigore umano con la forza della natura” dando vita ad “una mentalità popolare profondamente animistica, fatalistica, permeata del culto del magico e del soprannaturale”; la chiesa in questo sistema complesso di credenze, si mosse “in maniera d’affrontare queste usanze con iniziative soprattutto nel campo dell’istruzione”, lasciando in piedi gran parte di esse, ma “adattandole alla tradizione cattolica e servendosene -con la minaccia dell’inferno- per confermare la figura del prete come unica guida della comunità, pastore del suo gregge”. Alla fine del XIX secolo la religione cristiana aveva attecchito fortemente tra queste valli, le pratiche religiose accompagnavano la vita comunitaria del paese: “feste e mercati coincidono con festività religiose, la religione stessa segna momenti cruciali dell’individuo: nascita, matrimonio, gli eventi naturali, malattia e morte”. L’arrivo del vescovo a Prato Carnico per la benedizione della nuova Cassa Rurale è un esempio di come la comunità fosse molto attaccata ai valori cattolici:

“Alle 8 del mattino recatosi in chiesa al suono festivo (molto) delle campane ed allo sparo de’ mortaretti, comunicò, cresimò, benedì il vessillo, celebrò pei soci. Alle 10 del lunedì fra la folla ch’empie la plaçute ed il piazzale della chiesa, seguito da più sacerdoti, da oltre 100 soci, rirecasi alla chiesa (…) quindi messa pontificale, cantata a quattro voci e finita cantasi l’inno degli operai cattolici (...). Alle 9 del martedì i soci preceduti dal vessillo scortano monsignore a Pesariis..(..). L’incontro è splendido, solenne, sublime, insuperabile, indescrivibile, inconcepibile, divino. Vi si fanno comunioni abbastanza numerose ed oltre un centinaio di cresime”.

Questa situazione all’apparenza non sembrava invariata di molto all’inizio del secolo, dove in data 30 gennaio 1901 un paesano informava:

“ Il 18 sono arrivati i Redentoristi per la missione e facevano due, tre ed anche quattro prediche al dì. Il 23 sonsi confessati i fanciulli sotto i 15 anni e comunicati, il 24 e 25 le giovani e le donne, venerdì 25 comunione generale delle donne soltanto, sabato gli uomini sopra i 16 anni. Il lunedì 28 comunione generale di tutti, e saranno state circa 1500 persone. Domenica sera alle due benedetta la croce colla scritta: Ricordo Missione 1901. Domenica andarono a visitare le quattro chiese cioè Sostasio, Prato, Pieria ed Osais, così il 28 ed il 29, ed il 28 dopo la benedizione sonsi recati processionalmente a pregare al cimitero co’ fanali, gonfalone da morto e torcie (...)”.

Il gran numero di persone -ben 1500 su di una popolazione che nel 1901 risultava di “3000 abitanti”- che accorsero alle funzioni religiose dei missionari, rappresenta una prova di come la popolazione non fosse indifferente ai valori cristiani e alle pratiche religiose. Ma a prescindere dalla sincera fede che potevano avere gli abitanti, questa dimostrazione di forza da parte del clero poteva significare anche un'altra ipotesi: il bisogno immediato di serrare le fila contro un pericolo minaccioso che si profilava all’orizzonte cioè il socialismo.
In un articolo del cattolico Il Crociato, si parla della paura e del panico che il “partito clericale radunato d’urgenza”peratore del socialismo scientifico. Esso rammentava come nel campo clericale vi fosse un gran da fare per il ritorno delle missioni “che tanto fecero divertire questa gente nello scorso carnevale, e che tanto poca buona memoria lasciarono in questo comune”.
Accusava –sempre il Beppo- come due nuove associazioni cattoliche le “madri di Cristo e le figlie di Maria, nate dal connubio del più esagerato fanatismo religioso con la più crassa ignoranza”, fossero pronte a rivisitare Prato Carnico, per riproporre quello che nel carnevale passato “fu una serie di gesta così poco belle, che in qualunque altro paese avrebbe seriamente turbato l’ordine pubblico e messo lo scompiglio tra i cittadini ad maiorem Dei glorium”.
Il socialista accusava i missionari di “provocazioni” e dato che allora si ebbe il buon senso di non raccoglierle, questa volta minacciava di denunciarle se si sarebbero ripetute; la fonte non ci dà informazioni su queste gesta poco belle, ma dall’articolo possiamo dedurre che furono fatte per provocare la parte socialista:

“Ma quello che mette più timore sono le rivelazioni che in prossima corrispondenza Beppo e il Santolo faranno sulle gesta poco belle che compirono i missionari. C’è già chi ha tratto l’oroscopo che a questo ultimo colpo il partito nero resterà affatto sbaragliato e annichilito. Io certo allora non avrò il coraggio di pigliar la penna per difendere cose poco belle messe alla berlina da quei terribili di socialisti.”

Infine il corrispondente concludeva con una preghiera di riappacificazione tra “neri e rossi” e da ciò si può dedurre che lo scontro tra le due parti fosse già da tempo in corso:

“(…) e non sarebbe il caso di metter un po’ di pace fra i neri e i rossi? Mi parrebbe di sì (...). E allora le due potenze, nera e rossa potrebbero senza attriti e senza diatribe attendere ognuna nel suo campo e magari dandosi la mano qualche volta a migliorare le misere condizioni del proletariato. Ma forse il mio non è che un sogno!.”

Tutto ciò lascia presupporre che i missionari oltre alle funzioni liturgiche, dovessero procedere anche in ben altra direzione; che la propaganda clericale contro i socialisti non fosse leggera lo dimostra lo stesso Lavoratore Friulano pubblicando i “dieci comandamenti” che secondo Il Crociato rappresentavano le idee socialiste:

“ (...) Dalle dottrine che professano (i socialisti) e dalle azioni che compiono risulta che i loro dieci comandamenti sono i seguenti:

1. Negare l’esistenza di Dio
2. Maledire il suo santo nome
3. Profanare le feste
4. Disprezzare il padre e la madre
5. Perseguire, ammazzare e fare ammazzare senza scrupoli
6. Praticare come i cani l’amore libero
7. Rubare con la violenza
8. Mentire ed ingannare per dominare
9. Desiderare la donna e la roba degli altri
10. Volere la rivoluzione e la rovina nella società.”

 

Esempio lampante delle due visuali, cattolica e socialista, ci viene fornito ancora una volta dal quotidiano clericale. In data 16 agosto “si portarono qui l’avv. Sarfatti da Venezia (ebreo) colla sua compagna, l’avv. Galletti di Udine con altri due propagandisti”, i quali innanzi a molte persone tra cui “molte donne e ragazze e madri di famiglia” tennero una conferenza sul socialismo, che secondo il corrispondente del Crociato, avrebbe seppellito “la religione con tutti i suoi insegnamenti e suoi preti”.
L’avvocato socialista inveì contro la religione “perché coi suoi dogmi non ha saputo migliorare la condizione degli operai” e perché con le sue promesse di una vita ultraterrena impediva ai poveri di “aspirare a quel benessere materiale e morale riservato ai ricchi e ai preti”; attaccò la chiesa definendola “invenzione dei preti e dichiarando impossibile il diffondersi delle idee nuove finché i poveri gonzi s’inginocchieranno ai piedi dei preti ignoranti”. L’oratore mise in risalto la condizione dell’operaio, la disuguaglianza sociale che derivava dallo sfruttamento dei ricchi nei confronti dell’opera e del lavoro dei proletari, passando poi ad illustrare l’azione benefica derivante dal lavoro cooperativo, di come l’istruzione proletaria e la diminuzione dell’orario di lavoro fossero i mezzi su cui il futuro stato socialista si sarebbe basato per il miglioramento intellettuale, economico e morale delle masse.
A tutto questo concludeva l’avvocato si opponeva “l’idra clericale, la democrazia cristiana, che per opera del prete cattolico, di quell’intrigante mestieraio oppone valida resistenza, sforzandosi a tenere il proletariato nell’ignoranza, nell’abbrutimento del lavoro, sotto la servitù del signorotto”.
La risposta degli avversari sta nelle parole del parroco che sentitosi in dovere di smascherare le dottrine esposte dall’avvocato prese la parola e deplorò come i propagandisti del socialismo misero tutto il loro studio nel denigrare la religione “prima base del benessere sociale, perché se non si toglie al popolo la religione difficilmente quel popolo diviene socialista”; disse che togliendo la vita futura, si toglieva “la causa della nostra esistenza, l’idea del bene e del male, del vizio e della virtù”; riguardo allo stato socialista dichiarò l’impossibilità della sua attuazione, e se ciò fosse possibile “non potrebbe portare all’uomo la felicità che i socialisti si ripromettono”. Infine sottolineò la slealtà dei capi-partito che predicano la proprietà privata essere un furto, “mentre nessun socialista ricco ha messo in comune il proprio”.
Dopo questa contestazione da parte del prete, il popolo - secondo Il Crociato - sentì il bisogno di rispondere “all’arditezza e all’arroganza di questi moderni predicatori che con teorie così funeste, perché rivoluzionarie, fino all’anarchia,” con un imponente processione nelle vie del paese.
Don Piemonte durante la messa si prodigò perché tutti stessero lontani “da que’ falsi profeti che vengono con la veste dell’agnello ma dentro sono lupi rapaci”, e mise in guardia il popolo che ormai doveva conoscere lo scopo della propaganda socialista, cioè togliere la fede e la religione.
Come da entrambe le parti ci furono episodi d’intolleranza è dimostrato dal botta e risposta che in data 6 settembre un gruppo di “contribuenti” riportava sulle colonne del Crociato, riferendosi alle accuse fatte loro da un corrispondente del Friuli, giornale “massone-socialista”:

“Abbiamo visto in ritardo l’ultima vostra del 25 agosto e ci rincresce che in essa vi siate scavata la fossa colle proprie mani (...). Legga l’inclito pubblico il vostro sproloquio (...). Quanto da tutti era stato provveduto è avvenuto. In questi giorni si era recato qui l’avv. Sarfatti, il noto socialista, con la famiglia, per respirare un po’ d’aria pura della Carnia (...). La turba cattolica sobillata dai soliti caporioni, ha voluto mostrare la sua educazione provocando e insultando l’egregio avvocato con prolungate serenate sotto la finestra dell’abitazione fino a notte inoltrata con vero disturbo alla pubblica quiete. Fra la turba, composta in gran parte di donne, si notava qualche tricorno (...). L’abbasso al socialismo ed ai socialisti in questi giorni era il grido continuo nelle strade (...). Nel pomeriggio del giorno 18 trovandosi la signora Sarfatti a passeggio colla bambina ed il bambino di pochi mesi fu fatta segno ad apostrofi ed insolenze da molte donne fanatiche che arrivarono al punto di lanciarle contro dei sassi; fu per un fortunato caso che non colpirono il bambino”.

 

Ed ecco la risposta dei cattolici:

“Dunque voi avete preveduta la venuta dell’avv. Sarfatti, noi no (...). Se voi pertanto avevate preveduto che l’avv. Sarfatti in questi giorni si sarebbe recato a Prato, avevate pure preveduta la sua propaganda atea e rivoluzionaria e le sue dichiarazioni pubbliche ed esplicite di effettuare la distruzione della religione (...). Oh! Lo sappiamo bene che vi disturbavano la digestione quei cantici ripetuti verso la sera…e vi ferivano il cuore quelle parole: O patria mia, dei secoli-Amor, delizia e vanto, -Quando vedrai infranto- D’empio servaggio il fren? (...). Vi ricordate ancora della notte nefasta del 20 settembre 1895?. Chi aveva insegnato a quella turba di ragazzi avvinazzati da voi e vostri amici a girare il paese gridando come belve feroci: abbasso i preti e morte ai preti?!(…). Per fortuna da tutti è ormai conosciuto che la sig.a Sarfatti col suo seguito andava girando per alcuni prati recando dei danni ai piccolo proprietari, i quali indispettiti per tale mancanza di rispetto alla proprietà altrui, hanno rivolto alle signore giuste parole di rimostranza (...). Tanto per far conoscere quali siano i sobillatori e quali i sobillati.”

Gli scontri tra clericali e socialisti arrivarono anche a toccare livelli direi quasi folcloristici nelle loro battaglie. Per esempio era uso soprattutto da parte del nutrito gruppo di anarchici esistente in Val Pesarina, fare la cosiddetta “sdrondenada”; questa consisteva in una protesta popolare, una gazzarra organizzata fatta con bidoni vuoti, latte, trombe, corni da pastore, campanacci. Quando si effettuavano delle processioni, gli “anticristo” si premuravano a disturbarne la riuscita:

“Scrive il fratello Pietro: a Sostasio nassera gli anticristi avevano ordito di fa la sdrondenada a quei che venivano qua in processione. Non sono arrivati qua, non so se avessero avuti inconvenienti o per evitarli. Stasera corre voce che faranno anche alla processione parrocchiale dopo il mattutino, ma spero non riescano, e se riescono è a danno loro…”.

La preoccupazione da parte dei clericali della diffusione delle idee socialiste, dimostra come nelle zone montane, a differenza della pianura friulana, il movimento operaio fosse avantaggiato dall’esperienza dell’emigrazione. “La struttura e la conformazione del mondo contadino friulano e la presenza dei cattolici e del clero rendevano molto difficile una penetrazione socialista nelle campagne, quindi nonostante le condizioni miserevoli di vita, il contadino rimaneva attaccato alla proprietà e alla religione” e “il verbo socialista trovò aderenti, tra gli emigranti; ma costoro non appartenevano più al mondo contadino”. Soltanto un’esperienza traumatica come quella migratoria poté determinare la possibilità di nuove aperture, di nuove conoscenze, “base per la costruzione sia pure rudimentale di una nuova ideologia alternativa a quella della rassegnazione, predicata dai preti e dai potenti”.
Lo scollamento tra l’autorità della chiesa e il popolo pesarino venne sempre più accentuandosi. Il nuovo prete succeduto a don Piemonte si trovò ad affrontare una situazione in piena evoluzione: la costituzione della Casa del Popolo, che non lasciava mai in pace la popolazione “con i suoi numerosi balli carnevaleschi ed anche quaresimali”, l’egemonia socialista della prima Società di Mutuo Soccorso, la conquista di lì a poco del comune, posero in grande difficoltà il nuovo adepto. Così, in un articolo del Lavoratore Friulano si leggeva:

“Domenica 6 ottobre i gonzi di qui gironzolavano per un paese con una madonna in legno; otto robuste braccia la tenevano sospesa (...). Una ventina di vecchi canuti, altrettante donnicciatole, ed una trentina di bimbi. Poca cosa davvero se si pensa al passato. Ma per questo, l’istrione prete non si dà per vinto, e le pagliacciate si succedono alle buffonate (...). Ma come il paganesimo d’altri tempi, anche la religione cristiana declina ogni dì.”

Lo stesso don Paolo Valle, così si chiamava il nuovo prete, una settimana prima dell’inaugurazione della Casa del Popolo, in una lettera datata 26 gennaio 1913, scriveva a don Antonio Roia:

“Dunque domenica prossima si scateneranno le ire diaboliche socialistorum, anarchicorum (...). Sarebbe il caso d’implorare dal cielo sopra la Casa del Popolo quando tutti saranno dentro una tromba falcarum, saettarum, capsularum, dinamitariarum, (...). Non starebbe mica male un premio di tal genere a sti mostri (...). Basta che Dio non abbia stabilito di levare i suoi tentacoli e sì allora vane sono le mie speranze; ma intensamente voglio sperare vorrà rimanere in mezzo a noi. Innalziamo prediche perché il buon Dio si degni porre in una maniera o nell’altra un termine a tanta corruzione, errori malignità umana. Beato te, beati tutti i nostri confratelli parroci, poiché non sei e non sono messi a così dura prova. Se la va di questo passo da qui a 10 anni siamo fritti, poiché la generazione odierna è quasi tutta tendente ad abbandonare la croce.
Ne ho un esempio lampante nei bambini, i quali manifestano aperta riluttanza a frequentare la chiesa; e i genitori sono fenomenalmente trascuranti, negligenti nel mandare i loro figli specie alla dottrina cristiana. Per queste tristi mode non mi vien voglia di continuare e quindi ti saluto”.

Dalla lettera si capisce come la presenza dell’ “eccellenda diabolica”, avesse fatto passi da gigante tra la popolazione di Prato Carnico; dalle parole di don Paolo Valle è evidente che il potere della chiesa in questi luoghi avesse avuto un forte calo dato da una “moda” che ne mistificava i valori.
Gli aggettivi con cui venivano definiti i socialisti, “i diavoli”, “gli anticristo”, “i mostri”, ci fanno capire quanto ancora la propaganda clericale sfruttasse le paure più recondite della gente. I socialisti venivano associati al demonio, quindi a quello che è negativo, sbagliato e che principalmente conduce alle vie dell’inferno. Per i cattolici friulani la cosa più importante era di “organizzare i lavoratori, di sottrarli alla propaganda socialista, di stringerli in associazioni nuove a difesa di interessi non ben definiti, tuttavia esistenti e bisognosi di tutela e di rivendicazione. Poi lungo il cammino, l’esperienza la necessità, l’ingegno, la provvidenza avrebbero insegnato il da farsi”; nulla poteva essere al di fuori della chiesa. La saldatura di un clero, impermeabile a forme di rinnovamento e ad ogni sostanziale novità, con quei ceti che tendevano solo a un ruolo di conservazione, spianarono la strada a quelle forze di rinnovamento che promettevano risposte nuove alle richieste dei ceti meno abbienti. Nemmeno la visita dell’arcivescovo di Udine sembrò far cambiare questa situazione; per quest’evento il prete volle “una generale conversione degli infedeli della sua parrocchia”, e come nel 1901 chiamò di nuovo i padri predicatori, che avrebbero regalato “per una settimana omelie – prediche – quaresimali – orazioni - consigli alla penitenza”; come conseguenza dell’arrivo dei missionari venne affisso al muro dai “liberi pensatori” un manifesto per ogni crocevia. Questo in “forma correttissima e rispettosissima” avvertiva il popolo come il clericalismo tentasse di rialzare la testa e di avvinghiare di nuovo a sé “gli animi resi loro liberi”. In primo piano “il manifesto rievocava i fasti della Cassa Rurale, le dolorose conseguenze che ancora oggi si fanno sentire in molte famiglie, consigliava ad aprire gli occhi sul trucco religioso-politico organizzato a danno di Prato con queste prediche”.
Il manifesto fece un’impressione fortissima, le persone si fermarono a leggerlo, a declamarlo e commentarlo. La scorta del monsignore costituita da “una dozzina e mezza di carabinieri e brigadieri e marescialli e delegati”, poneva in risalto come l’autorità pubblica avesse intuito la non buona predisposizione del comune alla visita pastorale. L’autorità proibì di svolgere nello stesso giorno il comizio di anniversario di Giordano Bruno nella Casa del Popolo, per ordine pubblico vennero ritirate le bandiere esposte al balcone e ritardata l’ora d’inizio del ballo nello stesso edificio.
Secondo i socialisti “fu voluta una vera festa religiosa che significasse che a Prato c’è una generale ravvedimento politico-religioso”, ma la gente non parlava d’altro che della Casa del Popolo, e l’attenzione dell’autorità era rivolta esclusivamente ad essa. Lo stato di tensione nel paese fece anche rimandare la conferenza dell’Ispettore del Lavoro alla Società Operaia; esso doveva spiegare “i benefici della convenzione italo-germanica riguardante il passaggio dei contributi per la pensione di vecchiaia degli emigranti in Germania alla cassa di previdenza italiana”, ma quando il delegato di P.S. che si trovava a Prato lo informò che “lassù c’era del fermento fra il partito cattolico e quello socialista” gli fu consigliato di rimandare la sua venuta “perché la sua presenza avrebbe potuto dare appiglio a qualche dimostrazione”.
Altre fonti c’informano che il Vescovo di Udine arrivato a Prato Carnico fu “accolto con calore dai bianchi ma in maniera fredda se non ostile dal resto della popolazione”. Al passaggio del monsignore nel territorio del comune “venne dato fuoco al bosco lungo i lati della strada”. A Pieria “le campane furono suonate a stormo, come per una grave sciagura ed un tenente dei carabinieri, accorso con numerosi rinforzi, dovette salire a sciabola sguainata nella cella campanaria con alcuni suoi militi per sloggiare con la forza alcuni giovanotti che vi si erano fermati”.