COMANDO   DIVISIONE    GARIBALDI  -  CARNIA

 

Diario storico

della Divisione Garibaldi - Carnia

 

 

 

Settembre 1943 – Marzo 1944

 

La Carnia, regione alpina compresa tra l’Austria a Nord, la Val Fella a Est, il Cadore a Ovest e le Prealpi Carniche sulla destra orografica del Tagliamento a Sud, comprende nelle sue linee essenziali le tre valli che la costituiscono: Val Tagliamento con la conca di Sauris, Val Degano con la Val Pesarina e la Val Calda, Val But con la Val Chiarzò e la conca di Paularo. In queste valli, che con la loro economia gravitano naturalmente sulla cittadina di Tolmezzo, sono situati rispettivamente i centri etnici ed economici di maggiore importanza: Ampezzo, Comeglians, Paluzza. Sulla cittadina di Tolmezzo gravitano i paesi di Verzegnis, Cavazzo, Amaro, Moggio con la Val Aupa e Pontebba che, pur essendo estranea alla vita economica della Carnia, è ad essa intimamente legata durante tutto il periodo di lotta partigiana poiché oggetto di controllo ad oltranza era la linea ferroviaria Stazione della Carnia - Pontebba. Quindi, per ragioni tattiche, queste zone furono intimamente legate al movimento partigiano della Carnia attraverso le catene montuose che la separano. Comprendendo il movimento partigiano della Carnia tutto questo territorio, non poteva e non poté di fatto rimanere estranea la Val Canale (compresi in essa i centri di Malborghetto, Ugovizza, Tarvisio), che dalla regione carnica prese indirizzi di lotta pur restando da essa praticamente molto isolata.

 

Il movimento partigiano in Carnia, come netta opposizione ai tedeschi ed al fascismo, trova le sue radici nella miseria e incuria generale in cui il fascismo ha precipitato queste popolazioni, nonché nello spirito antitedesco che trova i suoi precedenti storici particolarmente nell’invasione del 1917, i cui ricordi e dolorose impressioni sono tutt’ora vivi fra le nostre popolazioni.

Quando avvenne lo scioglimento dell’esercito regio (9-10-11 settembre 1943) i giovani che riuscirono a sfuggire alla deportazione raggiungendo i loro paesi ebbero istintivamente chiaro nella quasi totalità il concetto di sottrarsi al reclutamento forzato. E molti di essi si diedero nelle varie zone alla macchia nello stesso settembre; incoraggiati a ciò erano dalle stesse popolazioni che non vedevano altra via onde salvare la propria dignità che nella difesa passiva, quindi: sciopero al reclutamento forzato tedesco.

Ma con l’avanzare della stagione, non essendo possibile risolvere, per mancanza di organizzazione centrale unitaria, le difficoltà logistiche, mancando di valle in valle il collegamento tra i diversi gruppi armati e mancando un concetto unitario d’azione, i reparti si sciolsero, le armi furono nascoste e gli uomini lentamente rientrarono alle loro case. Questo, in derivazione di altri due fattori: l’arte tedesca di blandire e temporeggiare che diede agli uomini una certa parvenza di sicurezza e la caratteristica peculiare delle genti carniche che, per natura, sono diffidenti ad ogni impresa di cui non vedono chiari e la base ideologica e l’organizzazione. Occorreva quindi opera di educazione onde poter portare su un piano attivo di combattività lo spirito di passiva ma profonda opposizione al fascismo ed ai tedeschi. Tale opera fu condotta in tutte le varie zone della Carnia isolatamente ma con un concetto base: partigiani nel nome dell’Italia e del Popolo Italiano. Parole non nuove, ma che ripetute costantemente e dovunque diedero ai giovani ed al popolo una, se pur ancora oscura, direttiva, e diedero la forza a queste popolazioni di guardare arditamente il domani che si preparava oscuro.

A questa opera di preparazione spirituale concorse il fatto che anche in Carnia fu costituito il fascio repubblicano, ridestando intensi malumori, e mettendo sempre più in vista con vuota e criminosa propaganda l’assurdità del sistema fascista. La diffidenza che in periodo fascista si esprimeva con velate parole, trova libero sfogo in tutti i ceti, in tutte le età, e crea nella nostra gente viva l’aggressività contro il risorgente, ma praticamente già caduto, sistema. E con essa si delineò sempre più netta, sempre più definita la possibilità, anzi la necessità, di combattere per lavarsi dalla colpa di avere sopportato per oltre venti anni.

La blandizie tedesca e fascista, che credette compito facile illudere i giovani sostenendo che la milizia repubblicana trovava ragione di essere nella necessità di presidiare esclusivamente i propri paesi e le proprie vallate, si trovò di fronte alla quasi generale ostilità. Gli anziani dicevano ai giovani:

“In questi momenti gravi è impossibile dare un consiglio, però …” e questo “però” indicava naturalmente che il popolo era orientato verso un concetto ben più sano di valori sociali ed umani.

Ma il fatto che la propaganda tedesca di arruolamento trovò in qualche sporadico caso aderenza, determinò un accentuarsi della cospirazione ed il timore forte ma giustificato di delazione. Le indagini della S.S. si rivolsero particolarmente a tutti gli elementi iscritti al partito comunista che il fascismo per esperienza conosceva di indomita tenacia e combattività e facente presa su tutte le classi lavoratrici, e si rivolse ancora contro gli ufficiali in genere, che, orientati a un movimento antitedesco, avrebbero trascinato tutti i compagni che nella vita militare avevano con loro combattuto e sofferto.

Ripetutamente i tedeschi che la “Julia” avevano conosciuto di nome e di fatto si espressero con relative riserve riguardo all’apparente tranquillità della zona carnica: non compresero però che ciò derivava dal fatto della stanchezza di lunghi anni di combattimenti sostenuti in terra di Grecia e di Russia, e non compresero poi che se la Carnia si fosse mossa (fenomeno questo generale in tutta l’Italia) non l’avrebbe fatto in base a passate strutture militari, ma appoggiandosi su nuove necessità, su di uno spirito che per la prima volta si faceva veramente strada e cioè quello dell’esercito popolare: figli del popolo, combattenti senza distinzione di onori, ma solo con più gravi suddivisioni di compiti e responsabilità.  

Sarebbe errato da parte nostra il precisare che in un punto o nell’altro delle singole valli sia sorto il movimento partigiano: ogni paese vide, già nell’autunno ‘943, i giovani e gli uomini in genere fuggire sui monti; in ogni valle si vide il febbrile lavorio volto a nascondere le armi ed al traffico di esse: gli spiriti erano pronti, bastava orientare le massa.

In tutto il periodo decorrente dall’ottobre ‘43 al febbraio ‘44, in tutti i paesi si formarono nuclei slegati tra loro, senza un indirizzo ancor chiaro, ma chiara era una cosa: il popolo in massa sentiva approssimarsi la lotta, e in ogni paese le formazioni partigiane territoriali assunsero proporzioni sempre più vaste.

Le notizie che giungevano dal Tarcentino, dal Cividalese, dal Collio, muovevano in tutti i giovani un senso di ammirata invidia e desiderio di emulazione. Ognuno pensava al futuro con la certezza che la nostra terra avrebbe saputo assolvere i suoi compiti al pari di ogni altra, al di là di ogni sacrificio.

 

Durante tutto l’inverno, in ogni valle della Carnia, organizzatori vari tentarono in vari modi di far affluire armi e viveri nella nostra zona. Fra gli altri ci piace ricordare: Sclav (Cicco), Aso, Nembo e Magrini che fecero quanto era umanamente possibile per preparare in forza un movimento partigiano. Ma viveri non giunsero o se giunsero furono in quantità irrisoria: non certo ciò per la mancata attività dei nostri Martiri. Si cercò di raccogliere somme ingenti per finanziare il movimento, ma le cartelle dei prestiti lungamente girarono in Carnia senza trovare che pochi sporadici acquirenti.

Chi rispose invece in massa fu il popolo che, nell’ombra, nel silenzio, preparò gli spiriti alla lotta e di fronte ad ogni sopruso si mostrò con la fronte alta, forte della sua dignità. Così secondo noi è possibile comprendere come il movimento partigiano in Carnia abbia trovato aiuti e aderenti su così larga scala.

Il sabotaggio agli ammassi, durante tutto il periodo antecedente l’azione partigiana vera e propria, fu un fenomeno generale, quasi che l’istinto imponesse alle popolazioni carniche di rifiutare al nemico ciò che sarebbe stato necessario domani.

Ed il domani giunse ad un tratto, quasi imprevisto, ma fu per la nostra gente una cosa logica, espressione di una dignità da salvare, non per spirito d’avventura ma fede, perché solo la fede può dare agli uomini tanta forza di sacrificio quanta ne ebbero queste povere genti alpine.

 

Il nostro movimento partigiano nella sua forma attiva (e cioè reparti permanentemente armati, in divisa ed operanti) ebbe la prima spinta dalla zona delle Prealpi con la comparsa in zona di un Distaccamento del Btg. Garibaldi-Friuli, proveniente dalla zona del Monte Ciaurlec. Tale distaccamento fece la sua prima comparsa verso la metà di marzo ‘44 nella zona Cavazzo - Verzegnis, dopodiché rientrò nella zona di partenza. Successivamente si trasferì definitivamente in Carnia provenendo dalla Valle di Preone: ciò il primo aprile 1944.

È opportuno ricordare a proposito che nei mesi di febbraio e di marzo ci giungevano notizie sempre più concrete di forti reparti partigiani esistenti nella valle di S. Francesco. Col variare delle fonti di notizie si dicevano ora duecento o trecento, ora ottocento o mille; ma un fatto era certo: si cercava in ogni modo di sapere ove si trovassero onde poterli raggiungere.  

Nella zona dell’Ampezzano e della Val Pesarina esistevano già in antecedenza nuclei armati ed alla macchia, ma il movimento partigiano vero e proprio si manifestò con lieve differenza di tempo nelle due zone già menzionate quando questi nuclei, con unità di indirizzo e d’azione, si fusero al Btg. Garibaldi-Friuli. Erano i primi d’aprile e la popolazione in genere, passato il primo momento di stupore, andò man mano assuefacendosi all’idea delle possibili rappresaglie tedesche e si orientò decisamente verso un appoggio incondizionato alle formazioni.

Il movimento partigiano preparato da apostoli quali Nembo e Magrini, in breve tempo (aprile-maggio ‘44) si estese a tutta l’alta Valle di Ampezzo, alla Val Pesarina, alla Val Degano, passando contemporaneamente da questa, attraverso la Val Calda, alla zona circostante Paluzza e Timau, comprendendo Treppo Carnico e Ligosullo ed estendendosi fino ad Arta.

 

In ogni valle, in ogni paese, le formazioni tennero brevi comizi alle popolazioni radunate sulle piazze, onde spiegare la necessità di passare alla lotta attiva contro la storica incongruenza del regime fascista e dell’occupazione tedesca. Questi comizi aprirono la via alla prossima organizzazione politica, ai comizi tenuti con la partecipazione in massa delle popolazioni nei mesi che seguirono. Così il popolo fu legato nell’ideale comune alle formazioni combattenti. Le rappresaglie nemiche, che ben presto si fecero sentire, non servirono a far sì che le povere case della Carnia non ospitassero i partigiani e che il popolo non piangesse sulle salme dei compagni caduti.

Nella rapida esposizione che segue e che comprende le azioni più importanti, perché di molte altre si è persa la memoria, cercheremo di dare un quadro per quanto possibile obbiettivo del movimento partigiano garibaldino della Carnia.